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25 Marzo 2024Il duello
di Marco Imarisio
Un filmato per oscurare quelli dei miliziani. Kuleba: bugiardo patologico
«Rimaniamo in contatto». E riattacca. Suona ancora il telefono. «Ci sono novità?». Un’altra chiamata. «Undici persone fermate?». Le riprese non sono frontali, come quelle del messaggio alla nazione letto sabato pomeriggio. Vladimir Putin appare sempre più corrucciato. Si sposta di continuo dal centro della sua scrivania per rispondere al capo dei servizi segreti Aleksandr Bortnikov, al ministro degli Interni Vladimir Kolokoltsev, a poi al governatore della regione di Mosca. Filo diretto con tutti, insomma.
«Il nostro presidente è stato informato fin dal primo momento, ricevendo rapporti immediati dalle nostre autorità» informa la voce fuori campo di Pavel Zarubin, volto emergente dei media vicini al Cremlino, che ha fondato insieme al più noto Vladimir Solovyov la storica striscia della domenica sera, il cosiddetto «telegiornale d’autore» Mosca.Cremlino.Putin, la cui ragione sociale appare evidente fin dal nome. Il video, presentato come una grande esclusiva, è stato inviato in anticipo alle agenzie di stampa statali come la Tass, e poi ripreso con grande evidenza per tutta la giornata dai telegiornali di ogni ordine e genere.
Come quasi tutti, Putin gestisce bene le vittorie, ma ha qualche problema con le battute d’arresto. Gli strateghi del Cremlino conoscono a memoria le critiche che subì nel 2000 per la risposta ritardata dopo la tragedia del sottomarino Kursk, e quanto gli bruciarono all’epoca. Il silenzio prolungato durante i momenti di incertezza è una caratteristica che gli viene attribuita in ogni biografia. Nel giugno scorso, tacque a lungo prima di prendere la parola per fermare la marcia su Mosca di Evgenij Prigozhin. L’esclusiva di Mosca.Cremlino.Putin ha il chiaro obiettivo di mostrare un Comandante in capo sulla tolda del vascello Russia alle prese con l’inattesa tempesta di una strage avvenuta nel cuore di Mosca.
Ma il danno non è solo di immagine. Per quel poco che conta, l’opposizione sta avendo gioco facile. «Quel che più colpisce è la catastrofica incompetenza dei nostri servizi di sicurezza» scrive su Telegram Ivan Zhdanov, che fu a capo della Fondazione anticorruzione di Aleksei Navalny. «Forse l’Fsb era troppo occupato a reprimere la dissidenza, a spiare i cittadini, a perseguitare le persone che si oppongono alla guerra» afferma Dmitry Gudkov, l’ex promessa della politica russa che sembra avviato a diventare la figura di riferimento della frammentata galassia che contesta Putin.
L’ironia sugli Usa
«Vorrei che avessero avuto la stessa rapidità per l’assassinio del loro presidente Kennedy»
Anche il reciproco rimpallo delle responsabilità dell’attentato mostra qualche crepa. Nell’edizione speciale di ieri, Komsomol’skaja Pravda, quotidiano allineato e coperto sul presidente, invitava a valutare bene le sue parole, sostenendo che non si trattava di una diretta attribuzione di responsabilità a Kiev, ma di una «riflessione». Fonti vicine al Cremlino sostengono che la riluttanza dello zar a una chiamata in causa più esplicita potrebbe essere legata al timore di una smentita da parte dell’intelligence degli odiati Usa. Nel dubbio, i media hanno scelto di non mostrare il video diffuso dal canale ufficiale dell’Isis dove appaiono i terroristi in azione. Alcuni si sono trincerati dietro l’innegabile truculenza delle immagini. Altri non ne hanno fatto menzione.
Ormai il dado è tratto. A interpretare le parole dello zar ci hanno pensato i talk serali, i cui conduttori si pongono la domanda retorica sul mandante Zelensky e si rispondono da soli sostenendo la necessità dell’utilizzo delle armi chimiche o nucleari al fronte. La pista alla quale si continua a dare maggior credito è quella dell’Ucraina: immigrati al soldo dei servizi segreti di Kiev per colpire al cuore l’odiato nemico con determinazione nazista. Qualunque cosa dica il grande satana americano viene considerato come una prova a carico suo e del suo alleato ucraino. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ironizza sulla velocità con la quale la Casa Bianca ha scagionato l’Ucraina. «Vorrei che avessero dato risalto con la stessa rapidità all’assassinio del loro presidente Kennedy».
Al momento, siamo alla doppia verità. Perché Kiev reagisce alle accuse nei suoi confronti con tesi altrettanto discutibili, sostenendo, in un tripudio di post cospiratori della sua propaganda mirati a provare l’esistenza di una operazione sotto falsa bandiera, che sarebbero stati gli stessi servizi segreti russi a progettare e far eseguire la strage per poter così incolpare Zelensky. L’accusa di mentire viene ribaltata, con alcuni ministri del governo ucraino, a iniziare da Kuleba, che all’unisono definiscono Putin «un bugiardo patologico». Sono passati appena tre giorni, e appare evidente che non avremo mai una versione dei fatti unica, indivisibile e condivisa da tutti. Non è un caso se la chiamano nebbia di guerra.