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Di solito quando si forma un nuovo governo, e crediamo che questo sia successo anche con l’avvento a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, parte da Firenze, in direzione di Roma, il dossier delle opere che la Regione ritiene prioritarie per lo sviluppo della Toscana. Valerio Pelini, ex direttore generale della Regione ha raccontato di averne mandati sei, ai governi Prodi, D’Alema, Amato, Berlusconi, di nuovo Prodi e poi ancora Berlusconi. Purtroppo i risultati non hanno corrisposto alle attese dell’invio. E anche con Eugenio Giani governatore la situazione non è evidentemente cambiata. I buchi neri delle infrastrutture toscane sono noti. Dalla Tirrenica alla FiPiLi. Dall’Autopalio alla Due Mari. Per non parlare delle ferrovie. La Lucca-Viareggio. Il corridoio tirrenico. La Tav. In breve, il solito elenco. E il solito senso di frustrazione di chi è costretto a raccontare che nulla si muove sull’asfalto della Toscana per cui ci sono territori della regione belli ma impossibili da raggiungere. Una situazione che a taluni ha evocato il colibrì, piccolo uccello — lo ricordate protagonista nel romanzo di Sandro Veronesi? — caratteristico per mettere tutta la propria energia «nel restare fermo». Sulle infrastrutture da decenni la Toscana si dà un gran daffare in annunci, progetti, polemiche. Alcune decisamente surreali come quella tra governo e Regione sul tratto della Tirrenica da Grosseto a Capalbio, primi anni del Duemila: meglio il tracciato collinare o quello costiero?
Risultato: non si è fatto nulla né in collina né lungo il mare. E quando poi qualcosa si muove, almeno a livello di manutenzione delle arterie esistenti, e qualche cantiere viene installato, scatta puntualmente l’odissea per gli automobilisti, come ha raccontato ieri Giulio Gori su questo giornale nel suo reportage sull’Autopalio: file interminabili, andatura da lumache, un’insopportabile gimkana per cinque cantieri disseminati in 27 chilometri. Dal senese all’aretino, tratto di 30 chilometri tra Sansepolcro e il confine romagnolo del valico di Verghereto (confine romagnolo) dove ci sono quattro cantieri: anche qui lunghe file, lavori lentissimi e a volte pericolosi, al punto che nel 2021 provocarono la chiusura della superstrada.
Un misto di incapacità delle imprese nel fare i lavori — possibile che ci sia sempre bisogno di rattoppi su rattoppi sulle stesse arterie? — e di incapacità della Regione nel programmare — ancora: possibile che ci siano cinque cantieri aperti in 27 chilometri? Così è del tutto ovvio che non si può andare avanti, la situazione delle strade (per la Firenze-Pisa-Livorno l’ex ministro Matteoli evocò il «Terzo Mondo») crea disagi e anche incidenti ai cittadini, e frena lo sviluppo economico delle imprese. Una volta era un facile alibi prendersela con la Regione e i Comuni «rossi», ma oggi che la geografia politica in Toscana è molto cambiata, e la destra governa in numerose città, forse è possibile, o quantomeno auspicabile, una condivisione comune tra centrosinistra e centrodestra per affrontare l’emergenza delle infrastrutture nella nostra regione. È interesse di tutti far pesare a Roma una visione comune della Toscana sulla realizzazione delle maggiori opere viarie della regione. Aprire i cantieri e, una volta aperti, richiuderli il più rapidamente possibile, deve essere la priorità delle agende politiche di tutti i partiti, ora che ci stiamo avviando verso una lunga campagna elettorale per le Europee e per molti Comuni toscani, a cominciare da Firenze, Prato e Livorno. E attenti a non fare la fine dei capponi di Renzo Tramaglino che nella comune sventura si becchettavano a vicenda mentre stavano finendo nello spiedo di Azzecagarbugli.
Mario Lancisi
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