Sulla donazione al Comune di Siena di opere d’arte contemporanea Per Siena aveva ragione
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di Pierluigi Piccini
Mi sento in dovere di intervenire per offrire un’interpretazione più equilibrata rispetto alla tendenza a ridurre il passato a uno slogan semplicistico: “colpa dei politici che hanno sperperato un patrimonio”. È indubbio che le condizioni critiche in cui versa oggi la città siano il risultato, anche, della distruzione di una risorsa immensa. Tuttavia, questa spiegazione, per quanto semplice e in parte veritiera (come si addice agli slogan), non rende giustizia alla complessità dei fatti. Non tutte le vacche di notte sono grigie e non tutte le narrazioni sono giuste.
Leggo ricostruzioni che attribuiscono ogni responsabilità ai politici, quasi fosse una verità assoluta. Ebbene, l’Amministrazione da me diretta, come quella precedente, non ha sperperato nulla: abbiamo programmato, realizzato, costruito una visione per il futuro di Siena. Un futuro che, però, non ha potuto beneficiare degli straordinari mezzi messi a disposizione dalla Fondazione, i quali iniziarono a essere erogati in modo massiccio solo dopo il termine del mandato. Un esempio concreto: per finanziare la pulitura della facciata del Comune vendemmo i diritti sull’immagine alla Banca. All’epoca, la stragrande maggioranza degli utili andava a capitalizzare la Banca stessa (Carlo Turchi), rendendola la più capitalizzata d’Italia.
Va ricordato che la Fondazione iniziò a erogare utili quando cessò di essere un Istituto di Diritto Pubblico. Tuttavia, tali erogazioni avvenivano “a pioggia”, finalizzate più a creare consenso che a finanziare progetti strategici in grado di sviluppare realmente l’economia del territorio. Le poche eccezioni – come Siena Biotech nel ramo scientifico e Sansedoni in quello immobiliare – si sono rivelate fallimentari o comunque lontane dalle aspettative. Fu sotto la guida di Mussari, presidente della Fondazione, che decisero di rendere evidenti gli accantonamenti e distribuire utili, con enormi tasse pagate e dividendi elargiti anche ai nuovi soci, come Caltagirone e Gnutti. Questa strategia portò denaro alla Fondazione e consolidò un vasto consenso politico che coinvolse gran parte della società senese. Allora, tutto sembrava andare bene.
Attribuire però tutte le colpe solo ai politici – di destra o di sinistra – è una visione miope. Anche se vi è un fondo di verità, si trascura il ruolo di un ampio coro di lacchè istituzionali e membri della società civile che hanno contribuito a questa tragedia. Un gruppo compatto e radicato che, sull’onda del consenso, ha emarginato e persino espulso chiunque osasse criticare il sistema. Questo vizio, pur affievolito col tempo, non è mai scomparso del tutto. Il risultato? Siena ha progressivamente perso professionalità e competenze, precipitando in uno stato di degrado e senza prospettive concrete.
Oggi Siena è in ginocchio. Nessuno trae vantaggio da questa situazione, ma dal 2008 in poi la classe dirigente allargata non è riuscita a costruire un futuro per la città. Ridurre tutto alla mancanza di soldi o dare la colpa unicamente ai politici è una semplificazione pericolosa, che rischia di diventare un alibi. Se vogliamo davvero comprendere cosa sia accaduto, dobbiamo analizzare i fatti con onestà e rigore, documentandoli, chiamando in causa nomi e responsabilità. Solo così potremo liberarci del peso del passato e iniziare a lavorare con uno sguardo rivolto alle nuove generazioni. Generazioni che, mi auguro, non siano già intrappolate nella stessa rete di complicità e consensi che ha portato Siena al collasso.