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17 Ottobre 2024Un progetto senza la crescita
17 Ottobre 2024
di Daniele Manca
Il governo rivendicherà di aver abbassato le tasse. Altri, l’opposizione, diranno il contrario. È sempre stato così. Persino durante i governi con maggioranze di coalizione larga, tra centrosinistra e centrodestra, la discussione che accompagnava il varo della legge di Bilancio era tanto accesa quanto stucchevole. In un Paese come il nostro ad alto debito, bassa crescita, spesa pubblica elevata, quel che è prioritario è evitare di danneggiare i conti pubblici.
L a legge di Bilancio 2025, almeno da questo punto di vista, sembra indicare una chiara volontà di andare in quella direzione. E di farlo in una cornice che porta da qui a ben oltre l’anno prossimo. Come peraltro richiesto dalle regole del nuovo patto di Stabilità europeo. Pensare però che si tratti di una manovra dove magicamente tutti guadagnano e sia risolto il disagio palpabile nel Paese tra famiglie e imprese, significa essere fuori strada.
Il punto dolente resta sempre quello delle coperture, vale a dire dove trovare i soldi per finanziare le misure a vantaggio dei cittadini (un po’ meno delle imprese, come vedremo). Una delle strade è fare un deficit aggiuntivo. Che significa però caricare le generazioni future di nuovo debito. La manovra è salita di taglia, da 25 si è passati a 30 miliardi, ma si è tenuto fermo (sinora) il deficit aggiuntivo a 9 miliardi.
È uno di quei numeri sui quali si è trattato in questi giorni. La manovra di fatto non è ancora scritta. Ma incardinarla su cifre certe serve, dal punto di vista politico, a evitare le fibrillazioni, anche nella maggioranza di governo, che hanno sempre caratterizzato questa fase dell’anno.
È una manovra che cambierà il corso della storia economica del Paese? Bisogna essere estremamente chiari nel rispondere: no. Soprattutto se si tolgono agevolazioni come quelle (l’Ace) che prevedevano vantaggi per le aziende che rimettevano gli utili ottenuti nelle loro imprese. Che significava più investimenti e più assunzioni. E quindi più crescita.
Buona parte di quei 30 miliardi (oltre il 50%) sono indirizzati alla conferma di alcune poste di bilancio importanti per i lavoratori. Come il mantenimento della riduzione del cuneo fiscale. Un vantaggio di circa 100 euro in busta paga per i redditi fino a 35 mila euro. Anche perché se non fosse stato fatto si sarebbe tradotto in un taglio sì, ma delle buste paga.
La misura diventa strutturale, la si rende cioè un vantaggio permanente. Analoga strada si è seguita per il taglio delle aliquote Irpef per i redditi medio bassi. Il tentativo di procedere a una riduzione anche per quelli tra i 28 mila e i 50 mila euro annui è legato appunto alle coperture che in questo caso sono relative al successo o meno del concordato fiscale. E anche qui, prevale la prudenza vista la poca adesione registrata sinora.
I soldi per la Sanità arrivano ma saranno sempre troppo pochi a fronte di un Paese che invecchia. E che non vuole affrontare una riforma ormai ineludibile. Arriveranno poi i mille euro per ogni nuovo nato per chi ha redditi entro i 40 mila euro annui di Isee. Ma si tenterà di avvantaggiare le famiglie più numerose.
Questo significherà però rimodulare le detrazioni usando un meccanismo che pone dei tetti e combina redditi con numero di figli. Il dove si mette l’asticella non sarà indifferente per i cittadini che pagano le tasse. La prudenza e le responsabilità necessarie potrebbero anche tradursi in cattive sorprese per molti.
Siamo ben lontani da quell’operazione verità di cui avrebbe bisogno un Paese che ha una spesa pubblica di mille miliardi (di questi 164 in spesa assistenziale con il paradosso che gli italiani si sentono anche poco assistiti…).
Resta la domanda, a parte l’Ace abolita dove si prendono i soldi? Per fortuna le entrate migliorano. Ma non basta. Si parla di tagli ai ministeri, sono decenni che si fanno. Almeno sulla carta. A questo punto dovrebbero essere anni che si fanno e nei ministeri non dovrebbe esserci più nessuno. Tassa sulle banche?
Non è una tassa. Ma un anticipo di quello che gli istituti dovrebbero dare nel ’25 e nel ’26. Si riprenderanno quei soldi dal ’27, per fortuna senza interessi. Ma proprio questa vicenda mostra il problema italiano.
Le banche ammettono di dover fare la loro parte e che qualcosa non è andato per il verso giusto. Danno una mano allo Stato ma per i cittadini con il mutuo, e imprese con il debito cosa cambia? Ben poco se non niente. Devono sperare che uno Stato che spende tanto e male li avvantaggi in qualche modo. Ma si tenterà di agevolare non gli italiani quanto più facilmente bacini di elettori.
Mancanza di concorrenza, inefficienza nei controlli (per fortuna l’inflazione rallenta ma quella accumulata rimane, tradotto: i prezzi non scendono semmai rallenta la crescita), spesa pubblica inefficace, diventata enorme e ormai una giungla. Ecco alcuni nodi da sciogliere che potrebbero far rifiatare i cittadini. Pretendere che tutto ciò avvenga con una legge di Bilancio è troppo. Ma almeno qualche direzione di marcia si dovrebbe intuire.