L’intervista al leader del partito liberale Jabloko
MOSCA — «Ricordate la storia.
Questo attacco terroristico è un “cigno nero”, ma potrebbe diventare una moderna Sarajevo». A lanciare l’allarme è Grigorij Javlinskij, 71 anni, da 44 in politica, economista e fondatore e capo dell’unico partito liberale Jabloko che fino al 2004 sedeva in Parlamento. Paragona l’attentato alla Crocus City Hall all’“evento cigno nero”, l’imprevisto da conseguenze radicali, come l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo che provocò la Prima Guerra Mondiale. Per questo torna a invocare un immediato cessate-il-fuoco in Ucraina dal suo ufficio in fondo a un corridoio tappezzato di citazioni pacifiste come “La prima vittima della guerra è la verità” o “La guerra è la più brutale delle stupidità”. All’ingresso della sede a due piani del partito, nel centro di Mosca, accanto a una colomba che regge un ramoscello d’ulivo, campeggia lo slogan “Dì sì alla pace”. «Quest’attentato — ci dice — è un crimine mostruoso e brutale senza alcuna giustificazione».
Grigorij Alekseevich, la Russia ripiomba nell’incubo terrorismo…
«Le minacce terroristiche contro il Paese sono note da tempo.
Provengono dall’Afghanistan attraverso l’Asia centrale, dalle regioni del Caucaso settentrionale, dalla Siria. Dall’Isis, da Al-Qaeda, dai talebani, movimenti paramilitari politici e religiosi radicali islamici, banditi in molti Paesi del mondo come organizzazioni terroristiche».
Che cosa pensa della rivendicazione dell’Isis?
«L’insensata guerra decennale dell’Urss in Afghanistan e la lunga e sanguinosa guerra in Cecenia hanno consolidato i jihadisti contro il nostro Paese. Dal settembre 2015 la partecipazione diretta della Russia alla guerra civile siriana con continui attacchi aerei contro l’Isis ha aumentato notevolmente il pericolo di attacchi terroristici da quelle regioni. Quindi la rivendicazione dell’Isis potrebbe essere fondata».
Vladimir Putin ed Fsb sembrano però additare l’Ucraina. Cercano di strumentalizzare l’attacco?
«È il problema più cocente. Dietroall’Isis c’è qualcun altro? Qualcuno ha pagato? Chi? Chi è il fautore, lo sponsor, l’organizzatore? Chi ha inventato questo e perché? Le risposte del Cremlino saranno conformi ai suoi interessi».
Che reazione dobbiamo aspettarci? Una mobilitazione o un’escalation in Ucraina?
«La situazione è precipitata. Può succedere di tutto. La perdita di linee guida nella geopolitica moderna comporta gravi pericoli. Non si dovrebbe tirare a indovinare cosa potrebbe accadere, ma prendere decisioni vitali. Innanzitutto è necessaria la firma immediata di un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina.
Dobbiamo ripensare radicalmente le minacce tattiche e strategiche, reali e potenziali. Dobbiamo fermare le stupide accuse di richieste isteriche di “resa” o “bandiera bianca”. Il pericolo di una grande guerra si avvicina. Questo attentato è un “evento cigno nero”, potrebbe diventare una moderna Sarajevo».
Teme un conflitto nucleare?
«Non credo sia verosimile, ma non lo escludo. Se mai si arrivasse a uno scontro con la Nato, Putin userà le armi nucleari perché è più debole militarmente e lo sa».
L’attentato macchia la vittoria di Putin alle presidenziali di una settimana fa…
«Non sono state elezioni. È stato un plebiscito. In Russia non c’è democrazia. Tutto è iniziato col fallimentare tentativo di modernizzazione postsovietica.
Vennero effettuate riforme errate che hanno saldato in via criminale la proprietà privata al potere. E ora ne paghiamo le conseguenze».
Ma Putin gode davvero dell’87% dei consensi della popolazione?
«Il consenso c’è perché non c’è altra scelta. Ci sono tre fattori. Primo: la paura. Secondo: la propaganda.
Terzo: gli stipendi alti. L’Occidente, d’altronde, per anni non ha capito con chi avesse a che fare. George W.
Bush una volta disse di aver guardato Putin negli occhi e di averne visto l’anima. E Silvio Berlusconi con Putin si regalava letti».
Lei si è candidato tre volte alle presidenziali. Perché stavolta ha
deciso di non farlo? E di boicottare il voto?
«Sapevo in anticipo che non ci sarebbero state vere elezioni. Molti oppositori hanno invitato a votare “chiunque tranne Putin”. I “chiunque” che, all’indomani del voto, sono stati al Cremlino e poi sono saliti sul palco in piazza Rossa al fianco di Putin».
Che cosa resta dell’opposizione?
«L’opposizione liberale e democratica si trova in una posizione scomoda e pericolosa. È come nell’Urss, ma poi tutto è cambiato.
Perciò bisogna aspettare che arrivi il momento. Quando non si sa».
In autunno si è speculato molto sul Suo incontro con Putin. Che cosa vi siete detti?
«Gli ho parlato della necessità di un cessate-il-fuoco come punto di partenza di trattative e gli ho detto che sono pronto a partecipare a eventuali negoziati. Ma non mi ha risposto. Il tema negoziati ogni tanto spunta in superficie, ma poi succede sempre qualcosa che lo fa abortire: un raid a Belgorod o a Odessa.
Succede perché nessun leader mondiale, a parte il Papa, vuole il cessate-il-fuoco. Invocano il cessate-il-fuoco nel conflitto israelo-palestinese. In Ucraina mai».
È colpa anche dell’Occidente?
«I leader occidentali dicono di non volere il cessate-il-fuoco, né i negoziati. Quali sono le prospettive allora? Possibile che non gliene freghi niente della vita umana?
Sottovalutano i pericoli. Ora dipenderà tutto da voi europei che a maggio voterete l’Europarlamento e dagli statunitensi che eleggeranno il presidente. Bisogna smettere di sparare e mettersi a parlare».
Nel 2030 ci sarà ancora Putin?
«È sbagliato pensare che la colpa sia di una persona sola. È il sistema che è così: non c’è un Parlamento autonomo, non c’è un sistema giudiziario indipendente, non c’è libera stampa, non ci sono partiti politici. E questo sistema può durare a lungo. Dopo Putin, potrebbe arrivare qualcuno di peggio».
Non è molto ottimista…
«Sono realista».