
Mps-Mediobanca, la campagna di Londra e il volo a New York
15 Febbraio 2025
Smokestack Lightning
15 Febbraio 2025
di
Ci sono immagini che non si cancellano tanto facilmente dalla nostra mente, anzi assumono sempre nuovi significati man mano che passa il tempo. Piero della Francesca, ad esempio, ha affascinato e continua ad affascinare l’occhio e la mente di scrittori, critici e storici dell’arte: da Bernard Berenson a Henri Focillon, da Roberto Longhi a Kenneth Clarke, da Maurizio Calvesi a Yves Bonnefoy, senza dimenticare quanto abbia influito su pittori come Cézanne, Seurat e Picasso. Ma quel che è più conturbante è che non ha mancato di guidare l’ispirazione di diversi musicisti. Uno dei più vicini a noi è Gérard Grisey (1946-1998) che qualche anno prima della sua scomparsa, come esplicito omaggio all’opera di Piero, e in particolare a La Madonna del parto, compose L’icône paradoxale, per due voci femminili e grande orchestra. Trarre ispirazione da un’opera d’arte significa per Grisey riconoscere dentro lo spazio di quell’affresco uno dei tratti tipici della propria poetica musicale: la mise en abîme, quella tecnica comune a diverse discipline artistiche che viene impiegata ogni volta che si riproduce una storia nella storia, un’immagine nell’immagine, un sogno nel sogno oppure un gesto nel gesto, come in questo caso dove la
scena sembra continuare ad aprirsi, da un parto a un nuovo parto attribuendo a questa donna l’archetipo matriarcale. Naturalmente, come ricordava spesso Brian O’Doherty, se per il pittore la superficie dell’affresco resta qualcosa di reale pur creando di fatto un’illusione, per il musicista la superficie è un’illusione trasformata in qualcosa di reale (Cfr. Morton Feldman, Pensieri verticali, Adelphi, Milano 2000). Nel caso di Grisey questa storia nella storia è innanzitutto rappresentata da due gesti reali di diverso calibro: il primo energico, violento, quello dei due angeli che aprono la tenda facendo piegare il tessuto damascato (gesto di apertura verso la storia che troviamo anche nel Polittico della Madonna della Misericordia o nel Sogno di Costantino della Leggenda della Croce), cui nell’ordito di Grisey corrisponde l’organico della grande orchestra; il secondo dolce, delicato, indicativo, quello delle dita della donna cui equivale la tessitura di un piccolo ensemble che include le due voci femminili. La mise en abîme di Grisey si palesa anche attraverso un ingrediente fondamentale per la musica: la percezione del tempo. Non solo il tempo degli uomini ma anche quello degli insetti, delle balene o, ancora meglio, il tempo del cosmo: infatti, come ha ricordato Rovelli a proposito dei buchi neri, «“tanto tempo” per noi non significa “tanto tempo” per la stella» (Carlo Rovelli, Buchi bianchi, Adelphi, Milano 2023). Ci troviamo in effetti dentro a un cerchio in cui il tempo appare compresso grazie alla densità prodotta dalla compagine orchestrale, inscritto in un altro cerchio in cui la temporalità viene dilatata in virtù del carattere “spettrale” di quella musica, tratto tipico del compositore francese. Come non bastasse, il desiderio di una sovrapposizione − tra la musica di Grisey e le forme e i colori di Piero − viene espresso anche attraverso le parole che le voci scandiscono durante tutta la composizione, sia quando accompagnano l’ordito musicale con le indicazioni tratte dal trattato De perspectiva pingendi, sia quando appaiono come una vera e propria firma della creazione: Opus Petri de Burgo Piero della Francesca Petrus pictor Burgensis Sanctissimi Sepulcri.