Frozen Landforms
6 Dicembre 2022Nordio: “Inutili le leggi sulla corruzione Diamo impunità a chi paga e collabora”
6 Dicembre 2022
di Massimo Franco
La tentazione di scaricare sul governo di Mario Draghi i ritardi nella realizzazione del Piano per la ripresa affiora a intermittenza. Da una parte, non è facile imputare all’ex presidente della Bce un operato che Giorgia Meloni premier ha avallato in nome di una transizione senza scosse. Dall’altra, la situazione oggettivamente difficile e il difetto di esperienza suggeriscono ad alcuni esponenti dell’esecutivo di destra di sottolineare che solo una parte degli obiettivi erano stati raggiunti dal predecessore a Palazzo Chigi: primo indizio di frustrazione. Come motivazione, si oscilla tra quella più politica, che lega i presunti ritardi di Draghi all’assenza di una maggioranza compatta e dunque ai compromessi quotidiani con i partiti; e quella più tecnica, che fa dipendere gli ostacoli di oggi all’impennata dei costi dell’energia, tali da fare apparire inadeguato il piano concordato con la Commissione Ue. Per questo spunta la richiesta di avere più tempo: una tendenza, va detto, non solo italiana. Ma per il Paese può risultare un’iniziativa a doppio taglio. E non solo perché Draghi godeva di una credibilità internazionale che la premier sta cominciando a conquistare, tra qualche diffidenza e pressioni del resto della sua coalizione a sfidare le norme europee: come minimo, avrà bisogno di mesi. Il tema è anche quello di alcune misure controverse che arrivano da Palazzo Chigi. Sebbene spesso suggerite o lanciate dagli alleati, costringono Meloni a continue mediazioni. E trasmettono all’opinione pubblica e alle istituzioni di Bruxelles messaggi contraddittori. Il caso dell’aumento del tetto per i pagamenti in contanti è solo l’ultimo scampolo di queste oscillazioni. E non tanto le obiezioni delle opposizioni e della Cgil, ma quelle di Bankitalia lasciano intuire perplessità diffuse: anche se il braccio destro della premier, Giovanbattista Fazzolari, le liquida dicendo che via Nazionale «riflette la visione delle banche», tranne poi correggere. E questo nonostante i mercati finanziari abbiano premiato la cautela del governo di destra; e abbiano apprezzato la miscela di continuità e diversità con l’esecutivo Draghi. L’atteggiamento cambierebbe se la discontinuità diventasse radicale. E rispuntasse una larvata indifferenza al controllo del debito pubblico. Il confronto con l’Europa del quale ha parlato Meloni fa capire quanto sia acuta la consapevolezza di dovere cercare «la flessibilità senza clamore» evocata dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. La premier non può presentarsi come «draghiana»; ma non può distanziarsi troppo dal percorso tracciato da Draghi. Una sintesi ben calibrata tra passato e presente rimane esercizio complicato. Eppure, è ineludibile.