Paolo Conte – Via Con Me
29 Agosto 2023News
29 Agosto 2023l’intervento
Caro direttore,
vorrei aggiungere qualche notazione all’articolo di Roberto Barzanti intitolato «Il Palio basta a se stesso» (Corriere Fiorentino del 18 agosto 2023, ndr ) che ha trattato la questione del rapporto tra la festa e il turismo. La recente carriera ha dimostrato che il problema cruciale del Palio di Siena è l’impiego di cavalli sportivi a fondo inglese o anglo-arabo in un evento concepito da metà Seicento come giostra di fantini montati su cavalli del servizio postale armati di «sovatto»: un arnese costituito da un bastone con strisce di cuoio a un’estremità, tipico dei postiglioni che montavano il cavallo di volata della «gubbia», la pariglia che trainava la sedia postale. Nel Palio il «sovatto» era usato soprattutto per avvinghiare le braccia degli avversari, per «sbardellarli», per farli cadere. I cavalli erano, quindi, semplici cavalcature di un gioco marziale, che incontrava il gusto del Governatore del momento, quel Mattias de Medici, unico membro dell’illustre famiglia con un minimo di esperienza militare. Tuttavia, lo spettacolo dovette apparire troppo crudo, se la benemerita Governatrice Violante di Baviera, sentì la necessità di sostituire, col regolamento del 1721, il micidiale arnese con l’attuale nerbo. Quel regolamento introdusse molte altre importanti novità, come la riduzione a dieci delle Contrade partecipanti al Palio. Inoltre, era vietata la prova la mattina del Palio, perché solo allora si stendeva il tufo, fatto che dimostra come le prove fossero individuali e limitate a far conoscere il cavallo al fantino e non la piazza al cavallo. Inoltre, non si volevano «noiare» i forestieri (vale a dire i turisti del tempo) per i quali i senesi di oggi dicono che non si fa il Palio. Quindi, per secoli, i cavalli del Palio non sono stati cavalli sportivi ma cavalli «a sangue freddo», di servizio, ovvero da sella e tiro leggero. Le ferrovie, e poi la motorizzazione, hanno eliminato i cavalli che trainavano sedie postali e calessi. Dopo il tragico periodo degli anni Cinquanta, in cui si fu costretti a ricorrere agli scarti degli ippodromi, il Palio fu salvato dall’allevamento sardo degli anglo-arabi. Con un prezzo, però, da pagare per via della velocità di quei magnifici soggetti totalmente «a sangue caldo»: l’inevitabile trasformazione dell’originale giostra in un’ardua corsa entro una piazza semi-circolare, su un terreno duro, necessariamente a pelo: tre condizioni dannose per arti, bocca e reni dei cavalli.
In più, il sangue arabo accresce la loro sensibilità alle condizioni ambientali, nel Palio non certo ideali. L’accresciuta considerazione della tutela degli animali ha messo sotto accusa il Palio. Il protocollo varato nel 2000 ha cancellato alcuni abusi, ma ha fallito nel codificare solo le percentuali massime di «sangue caldo» dei cavalli (inglesi o anglo-arabi), dimenticando di stabilire un minimo di «sangue freddo» per contenere la velocità dei barberi. Infatti, dal 1950 a oggi, i tempi del Palio si sono ridotti di dieci secondi. Il record appartiene a Violenta, che nel Palio dello scorso luglio coprì i tre giri in 1’, 12” e 39. Occorre poi tener presente che l’energia cinetica — al cui assorbimento non contribuisce il duro tufo — sale col quadrato della velocità. E ricade tutto sul sistema di leve, cioè sulle gambe del cavallo. Ne consegue la necessità di ricorrere alla farmacologia per lenire la conseguente sofferenza, che inevitabilmente aumenta con le prove. Come risolvere seriamente il problema? Tornando, anche solo parzialmente, alla giostra con cavalli meno veloci? Esistono varie opzioni. Bisognerebbe discuterne con serenità.
di Paolo Neri
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