Mario Tozzi
Cosa poteva accadere per rimettere in carreggiata quel manipolo di sapiens ignoranti e avidi che pensavano di imporre al re delle montagne alpine uno inconcepibile sfregio, per di più condiviso fra Svizzera e Italia, sulla pista di sci transfrontaliera più alta che c’è? Che la montagna e il tempo meteorologico si ribellassero più di quanto non abbiamo fatto noi cittadini, seppure pavidi amanti delle Alpi, che non ci eravamo ancora mossi in corteo per costringere al ritiro le ruspe in alta quota con l’interposizione dei nostri petti nudi. Il vento stavolta, ma in altri casi potrebbe essere la neve o la sua assenza, cioè tutto quello che ancora oggi, vorrei dire, almeno in questi casi, per fortuna, non ci riesce di controllare.
Ammettiamolo, 3. 700 metri di pista per 885 metri di dislivello (con pendenze del 60%) sono già forse eccessivi, se li si tracciano fra 2. 800 e 3. 800 metri di quota suonano addirittura come una provocazione.
Così la gara di sci si rinvia, speriamo sine die, e magari possiamo approfittare della pausa per ripensare il significato degli sport invernali in questo scorcio di secolo che sembra condurre alla loro inevitabile fine. A meno di non accontentarci di panorami finti innevati artificialmente, lontani mille chilometri dal godimento dei silenzi immacolati di anni fa.
Grande è, invece, la delusione degli organizzatori e di chi era pronto a lucrare sulla pelle dei ghiacciai almeno qualche spicciolo: ci rimangono male per non aver potuto disporre della natura come fanno di tutto il resto. Dovrebbero invece mettere energie e risorse in una nuova visione della montagna in cui non saranno neppure pensabili interventi come quelli di riempire i crepacci con la neve per poterci sciare sopra. In cui innevare artificialmente sarà considerata la follia ambientale che è, e violare le vette più alte in elicottero per sciare a valle tornerà a essere un sacrilegio. Un ghiacciaio “toccato” si deteriora prima e più a fondo di uno lasciato in pace. E dei ghiacciai intatti ha bisogno tutta l’umanità, anche quella che non li ha mai visti, perché regolano la temperatura dell’atmosfera e mitigano il riscaldamento globale.
Ma se pure questa sciagura fosse allontanata, si susseguono i progetti faraonici per far durare la stagione tutto l’anno e collegare le 38 vette italo-svizzere più alte attraverso 580 km di impianti, buttando 75 milioni di euro nel buco nero della crisi climatica. E si propongono nuovi chilometri di impianti che a tutto serviranno fuorché per sciare. Dimenticando che un futuro naturale per questi sport è, al momento attuale, altamente improbabile. E realizzando il pronostico del professore argentino (Gioele Dix) che ricordava che “el chi” (lo sci) non è prerogativa dell’uomo.
Ma i sapiens sono fatti così, si credono superiori agli altri viventi perché superano allegramente i limiti, come se questi fossero costrizioni opinabili e non opportunità ineluttabili, opportunità di vivere armonicamente nel contesto e non sentirsene padroni. Invece c’è una sola differenza fra noi e il resto dei viventi non umani, e non è certamente l’intelligenza, la comunicazione o l’uso di strumenti. Non è che noi amiamo o abbiamo paura e gli altri viventi no, come se le emozioni non derivassero direttamente dall’evoluzione biologica e dunque non fossero terreno comune. Quella differenza è l’accumulo, l’avidità, la predisposizione a fare capitale economico del capitale naturale, per definizione fisso e di tutti.
Nessun vivente accumula al di là di quanto occorre nell’immediato, e rimarremo sorpresi nel vedere un leone catturare diverse gazzelle per poi venderne una al mercato, conservarne un’altra sotto sale, destinarne una ai nipoti e non condividere con nessuno l’ultima. Invece, se lo fa un sapiens, ci sembra normale e lo onoriamo come un grande uomo. Il tempo dell’infrastrutturazione selvaggia delle montagne, delle piste dovunque e dello sci a ogni costo è finito: l’aggressione ai ghiacciai dimostra solo la nostra ignoranza e la inesauribile avidità di una specie che non comprende la differenza tra un prezzo e un valore, onorando il primo e svilendo il secondo.