il caso
Domenico Agasso
Città del Vaticano
È la Via Crucis del Papa fragile. «Per conservare la salute in vista della Veglia e della santa Messa della domenica di Pasqua», Francesco segue «da Casa Santa Marta» la commemorazione al Colosseo del percorso doloroso di Gesù verso la crocifissione sul Golgota. Avviene per il secondo anno consecutivo. Lo comunica la Sala stampa della Santa Sede pochi istanti prima del rito del Venerdì santo.
Era tutto predisposto, dalle misure di sicurezza lungo il tragitto da una parte all’altra del Tevere – tiratori scelti, elicottero che sorvola la zona, cinofili, artificieri e termocamere per rilevare la presenza di eventuali ordigni – alla poltrona sulla tradizionale postazione dall’alto. Ma di fronte ai fedeli in attesa la sedia papale resta vuota.
Qualche ora prima Bergoglio, spinto sulla sedia a rotelle, è entrato nella basilica di San Pietro, dove ha presieduto la Passione del Signore. E invece i circa 90 minuti in cui avrebbe dovuto restare all’aperto, in una serata romana non ancora del tutto primaverile, vengono sconsigliati al Pontefice. Troppo rischioso, in questo periodo segnato dai postumi di una bronchite e, forse, anche della polmonite che lo ha costretto al ricovero un anno fa. Da mesi capita spesso (non questa settimana) che Francesco affidi a un collaboratore la lettura di un suo discorso, spiegando di essere «raffreddato». E nella Messa della Domenica delle Palme ha scelto il silenzio: non c’è stata omelia.
L’altro ieri, durante la Messa in Coena Domini alla Casa circondariale femminile di Rebibbia, ha celebrato la Lavanda dei piedi da seduto, sulla sedia a rotelle, lavando e baciando i piedi a 12 detenute: da tempo soffre di gonalgia, un dolore al ginocchio che lo costringe talvolta a muoversi in carrozzina o a camminare con un bastone.
In ogni caso, non arrivano, al Colosseo, i rumori e i bagliori delle guerre che uccidono uomini e speranza. L’eterno peccato di Caino. Ma incombono su questa Via Crucis del 2024, che papa Francesco ha voluto personalmente commentare, scrivendone per la prima volta i testi delle quattordici stazioni. Vengono letti durante il percorso della croce. «Di fronte alle tragedie del mondo il mio cuore è di ghiaccio o si scioglie? Come reagisco alla follia della guerra, a volti di bimbi che non sanno più sorridere, a madri che li vedono denutriti e affamati e non hanno più lacrime da versare?». Fotografa nitidamente i mali del momento presente: «Viviamo un tempo spietato, basta una tastiera per insultare». Denuncia un mondo «infestato dai sepolcri dell’egoismo». Nel dolore di Cristo in cammino verso la crocifissione, il Papa intende innestare quello dei Cristi del nostro tempo, sotto le loro innumerevoli croci. Le traduce in preghiera, in supplica, in affidamento. Rivolgendosi direttamente a Gesù, in un dialogo incalzante, dolente e appassionato. Chiede compassione per «i tanti Cristi umiliati dalla prepotenza», nominandoli: «Preghiamo per le donne che subiscono oltraggi e violenze, i bimbi non nati, i giovani, gli anziani scartati».
Il Papa prende su di sé tutte le croci del mondo, trasformando il dolore in preghiera. Si susseguono – nella notte del Colosseo – le pagine di Vangelo che narrano le ultime ore di Gesù. A ogni commento, il Vescovo di Roma aggiunge una serie di invocazioni, brevi e potenti. Il Cristo di allora, i Cristi di oggi, di sempre.
Infine Francesco chiama Gesù per nome 14 volte, tante quante le stazioni della Via Crucis. Scorrono le domande, le speranze, le aspettative di tutti: «Gesù, questa preghiera di intercessione raggiunga le sorelle e i fratelli che in tante parti nel mondo soffrono persecuzioni a motivo del tuo nome; coloro che patiscono il dramma della guerra e quanti, attingendo forza in te, portano croci pesanti».
In questo Venerdì santo insanguinato, papa Francesco alza lo sguardo dai mali della terra: «Soprattutto ricordami, Gesù, che la mia preghiera può cambiare la storia».