di Stefano Bartezzaghi
Torna in libreria una raccolta di scritti dedicati all’Infra- ordinario, ovvero alle piccole cose che non notiamo
Sono di Georges Perec, campione di liste
È sbalzati fra l’ordinario e lo straordinario che pensiamo di passare la vita. Le giornate che scorrono uguali le une alle altre sono lo sfondo che la memoria colora di un grigio uniforme. Su questo sfondo si staglia, di tanto in tanto, e di volta in volta gioioso o funesto, il fulgore del memorabile. A far passare dall’ordinario allo straordinario sono i singoli e sporadici accadimenti: un bacio, uno scoppio, uno scippo, uno choc.
A essere meno approssimativi, però, bisognerà precisare che questa alternativa secca poteva risultare esplicativa quanto basta nel passato, cioè sino a quella che possiamo chiamare l’epoca classica della banalità. Oggi lo straordinario si infila dappertutto: la parola è la più frequente sulla bocca degli imbonitori, dei presentatori, degli aspiranti influenzatori che promettono improbabili prodigi per lucrare il nostro clic d’attenzione. Così, in una giornata ordinaria di fruizione di mass — e social-media siamo sottoposti ad acquazzoni torrenziali di straordinario: un gol come un altro, un insulto come un altro, un discorso come un altro, una sciocchezza di buon cuore o di sarcasmo come un’altra. Clamoroso! Inaudito! Eccezionale! Nulla sembra più poter essere immeritevole di un quarto di minuto sotto i fari dello straordinario.
In questo 2023 possiamo invece dire che sono passati esattamente cinquant’anni da quando l’epoca classica della banalità ha cominciato a finire, non in uno schianto ma in un sospiro. Vale a dire: non a causa di un evento grossolano come lo straordinario di oggi che rovina addosso all’ordinario (togliendo dignità a entrambi), bensì per un sottilissimo e quasi inavvertibile effetto di erosione. Era infatti il 1973 quando il filosofo Paul Virilio pubblicò un articolo intitolato “ La disfatta dei fatti” ( che bellezza). Parlava dell’esistenza di una banalità minuscola, interstiziale, frattale; la chiamava “ l’infra- ordinario” ed esortava a porre attenzione a ciò che viene lasciato cadere nell’oblio dalle obbliganti gerarchie del sensato. Se lo straordinario è l’eccezione che ci impone di badargli; se l’ordinario è ciò che lasciamo passare inosservato, essendone in qualche modo consapevoli; allora l’infra-ordinario è quello che neppure ci accorgiamo di lasciar passare inosservato.
La rivista con l’articolo di Virilio si intitolava Cause commune e voleva fondare una sociologia della vita quotidiana. Su quello stesso numero lo scrittore Georges Perec pubblicava un testo intitolato: “Approcci di cosa?”: «I treni cominciano a esistere solo quando deragliano… Dietro a un avvenimento ci deve essere uno scandalo, un’incrinatura, un pericolo, come se la vita dovesse rivelarsi solo attraverso lo spettacolare». Proponeva un programma: “Interrogare l’abituale”; “Non più l’esotico ma l’endotico”. “Esaminate i vostri cucchiaini”. “Cosa c’è sotto la carta da parati?”.
Tale testo seminale è stato recuperato soltanto dopo la morte di Perec (ciò che pare quasi incredibile, trattandosi di un’esplicita dichiarazionedi poetica) in un libro che ora torna in edizione italiana, intitolato proprio alla dimensione dell’Infra-ordinario (traduzione di Roberta Delbono, pagg. 120, euro 13, editore Quodlibet Compagnia Extra). Dopo gli “Approcci di cosa?” troviamo da leggere: una minuziosa esplorazione della via parigina in cui Perec era nato, nel 1936; il testo a frasi permutate di 243 cartoline dalle vacanze; una descrizione del quartiere del Beaubourg durante la costruzione del Centre Pompidou; la descrizione di un tipico ufficio da amministratori delegati; l’elenco di tutti gli alimenti liquidi e solidi assunti da Perec nel 1974 (divisi per categorie gastronomiche). Eccetera: si sarà capito il genere. Si sarà inoltre capito che la categoria dell’Infra- ordinario nonché i capitoli di questa piccola raccolta potrebbe idealmente contenere una porzione ben vasta della produzione letteraria di Perec. I diversi “tentativi di esaurimento” di luoghi parigini, gli elenchi, i cataloghi, le variazioni, le «specie di spazi», gli indugi sui dettagli… È allora abbastanza strano cheUmberto Eco nel suo La vertigine della lista non faccia riferimento a Perec. Oltretutto l’uno e l’altro avevano in comune anche una passione divorante per le storie di falsari e una struggente per la parigina Place Saint-Sulpice.
È pur vero che gli autori di letteratura del catalogo sono miliardi ma fra i moltissimi Georges Perec è stato quello più significativo del secondo Novecento. Lo è stato anche perché ha impugnato l’arma espressiva della lista non per compilare enciclopedie delle meraviglie del mondo e mettere così lo straordinario nelle mani di chiunque, ma, al contrario, per rendere straordinario ciò che nella vita di chiunque alligna nella dimensione frazionaria e quasi subliminale dell’infra-ordinario. Scrutare gli interstizi: le piegature del dito che indica la luna; le “fini scanalature” del corpo e del cappuccio della propria penna stilografica, descritta nelle ultime righe di questo libro, posata sulla scrivania, forse subito dopo aver scritto di sé stessa.