Il primo giorno di Schmidt da italiano«Io candidato? Saprete a gennaio»
29 Novembre 2023This Week
1 Dicembre 2023Caro Pierluigi,
Siena ormai – secondo un detto popolare – è come “l’aia di Ghiandone”: vale a dire, un luogo dove tutti entrano, fanno il loro comodo e portano via quello che vogliono. C’è ormai qualcosa che faccia riferimento alla Città o sia diretta da Senesi? Ricordo il torneo di calcio tra le aziende di quando ero giovane. Vi partecipavano istituzioni e imprese: l’Ospedale, ancora nei locali del millenario Santa Maria della Scala (già proprietà della Regione ‘arnocentrica’), lo Psichiatrico (un grande villaggio, che – oltre ai pazienti provenienti da alcune province limitrofe – dava lavoro a tanti valentissimi tecnici), il Monte (diretto da Senesi), lo Sclavo, la Tortorelli, il Sapori (tutti di proprietà senese) per citare solo quelle principali. Nel frattempo, Siena è stata privata della filiale della Banca d’Italia e della Camera di Commercio. Nonostante tutto, “l’aia di Ghiandone” contiene ancora qualcosa da arraffare: il Palio, il suo gioiello più prezioso.
Il competente Ministero, infatti, sta elaborando – in questi giorni – una nuova ordinanza, che – si dice – dovrebbe imporre ai barberi le fasce e i parastinchi: come a Legnano. E’ il risultato della ‘paliottizzazione’ che la nostra antica Festa, ormai confusa nei cosiddetti ‘Palii d’Italia’, ha subito. Ad opera – ahimè – anche di personaggi locali (duro, chiamarli Senesi). Purtroppo, non sembra che l’amministrazione Comunale abbia messo in campo le squadra migliore per contrastare le bislacche idee del Ministero. Il quale sembra ignorare che quello di Siena è il Palio delle Contrade, entità preesistenti rispetto al Palio stesso. Nei paliotti, invece, ci sono le contrade del palio, entità kitsch, raffazzonate da qualche comitato promotore. Per questa semplice e incontestabile ragione il nostro Palio non è una rievocazione storica, ma storia esso stesso pur con una propria evoluzione; e non è nemmeno una corsa sportiva. E’ un rito.
Affannarsi, quindi, per adattare una piazza trecentesca – quanto di più lontano da un ippodromo – alle esigenze di sicurezza dei cavalli che in un ippodromo corrono, è una colossale sciocchezza.
Occorre, invece, fare il contrario: adottare cavalli adatti alla Piazza; non certo i purosangue, ma nemmeno i falsi mezzo-sangue anglo-arabi. Sottomettendoci supinamente alle direttive del Ministero, continueremo ad avere i dolorosi incidenti per i cavalli e, insieme, il disonore per Siena.
Per sostenere, però, questa tesi, occorre conoscere la storia del Palio in maniera non solo episodica, familiarità non superficiale col mondo dei cavalli e, soprattutto, esperienza diretta di decisioni dure, prese nella solitudine del palco dei giudici. Competenze difficili da trovare – lo ammetto- in una singola persona, ma che è anche assolutamente inutile segmentare in una commissione composta di specialisti, che vedono una sola faccia del problema; e non – di conseguenza – il nocciolo del problema.
Paolo Neri