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diElisabetta BertiLivorno ha un passato neanche troppo lontano di avanguardia dell’arte contemporanea. Era il 1974 quando a Villa Maria veniva inaugurato il Museo Progressivo, il primo in Italia dedicato all’arte contemporanea, che nelle intenzioni dell’epoca doveva diventare un polo culturale orientato alla ricerca. Un’esperienza avviata con il successo della prima Biennale, poi però arenato in fretta nel 1989 dopo lo “ scandalo” delle false teste di Modigliani. Impossibile oggi non sentire di nuovo l’eco di quella vocazione nelle nuove sale del Museo Città di Livorno completamente riallestite dal nuovo direttore Paolo Cova, e che riapriranno al pubblico domenica ( ore 11,30) con una festa aperta a tutta la cittadinanza. Torna infatti ad essere esposta una grossa parte di quella collezione dedicata all’arte italiana dal 1945 in poi, con decine di opere che per decenni sono state chiuse nei depositi tanto che forse nemmeno gli stessi livornesi si ricordavano di averle. «Le opere esposte sono raddoppiate, adesso sono un centinaio. Capolavori di capitale importanza che non vedevano la luce dagli anni Ottanta – spiega Paolo Cova – e parliamo di Alberto Burri, Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro, Mario Nigro, e il livornese Gianfranco Barucchello di cui si celebra il centenario della nascita». Un’operazione quasi a costo zero: gli spazi dell’ex chiesa del Luogo Pio hanno riaperto nel 2018 dopo un attento restauro, ma l’obiettivo è la valorizzazione di un museo che, almeno fino alla pandemia, raggiungeva numeri importanti in occasione delle mostre temporanee, ma era invece desolato negli altri periodi dell’anno. Ecco quindi che per recuperare il contatto con i pubblici di ogni tipo è stato potenziato l’apparato didattico, finalmente disponibile anche in inglese. Nella cartellonistica nuova di zecca spicca la grande timeline dedicata all’arte contemporanea italiana dalla quale emerge il ruolo centrale svolto da Livorno: la “storia” comincia con il 1945, « un anno incredibile, perché sebbene l’80% della popolazione livornese fosse sfollata, si tennero venti mostre d’arte ed in città erano presenti almeno tre gruppi artistici di livello come quelli di Gino Romiti e Mario Nigro, non a caso la maggior parte delle acquisizioni avvennero tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, con il gotha dell’arte come Piero Manzoni, Giulio Paolini, Lucio Fontana» racconta Cova, il cui obiettivo finale è il riconoscimento dello status di museo di rilevanza regionale. Una sala è interamente dedicata a Bruno Munari con alcuni esempi dei suoi celebri manifesti, e molta importanza viene data alla grafica, con l’esposizione dei disegni di tutte le artiste presenti in collezione, in particolare di Giulia Napoleone. La sezione d’arte contemporanea costituisce la prima tappa del progetto di riapertura delle sezioni permanenti del Museo della Città. Dopodiché il prossimo passo riguarderà la parte medievale e moderna. Cova ha un programma serrato: «A marzo presenterò al Comune il progetto tecnico-scientifico».