La lezione di De Niro
di ALBERTO CRESPI
CANNES
De Niro e DiCaprio. Due “paisà”. Il primo italiano per metà: era di origini molisane il padre, Robert De Niro sr. Il secondo per un quarto, Leo è per tre quarti tedesco e sua madre si chiama Irmelin Indenbirken. Le loro splendide carriere incrociano un terzo “paisà”: Martin Scorsese. Ma curiosamente i due si sono incontrati su un set di Scorsese solo due anni fa, per Killers of the flower moon , il magnifico western che proprio qui a Cannes ebbe la sua prima mondiale nel 2023. Oltre a Scorsese, hanno in comune le idee politiche: ecologisti, democratici, fieramente anti-Trump. E a Trump De Niro è arrivato, alla fine del suo discorso, dopo aver ricevuto la Palma d’oro alla carriera e dopo aver ricordato tutte le sue Cannes, dal ’73 con Mean streets fino a oggi. L’ha fatto in modo molto sottile. Ha detto: «Il cinema ci ha insegnato a essere democratici. Avete capito questa parola? Democratici ». E da lì è partito, con parole forti, senza mai nominare Trump. «Noi dobbiamo difendere la democrazia, in tutto il mondo, perché l’arte è di per sé democratica. L’arte include la diversità, ed è per questo che è pericolosa. Noi siamo una minaccia per gli autocrati e i fascisti. Il presidente americano filisteo ha tagliato i fondi a tutte le istituzioni culturali e ha annunciato dazi del 100% sui film prodotti fuori dagli Stati Uniti. Questo è inaccettabile perché la creatività non ha prezzo e non ha confini. Non è solo un problema americano — ha proseguito De Niro — è un problema globale. Dobbiamo rispondere, agire oggi, stasera, con passione e determinazione. Chiunque ami la libertà deve organizzarsi, protestare, e votare nel momento in cui ci sarà la possibilità di votare alle elezioni. Un modo di manifestare sarà sostenere, in questo festival, la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza». E citando il trittico della Rivoluzione francese — liberté, égalité, fraternité — De Niro ha chiuso al grido di “viva il festival”.
Su quel palco, De Niro è statopiù di un attore. Ma in fondo è sempre stato qualcosa di più di un attore. Si potrebbe dire che nella carriera di Scorsese esiste un periodo De Niro e un periodo DiCaprio, come se parlassimo di Picasso: e in fondo — perché no? — nei film di Scorsese De Niro è un “doppio” del regista, lo interpreta, lo sublima: dal tassista pazzo e romantico di Taxi driver al pugile violento diToro scatenato passando per il jazzista di
New York New York , De Niro nei film è ciò che Scorsese avrebbe voluto essere e forse temeva di essere. Ed è anche l’immagine di un’America che tenta disperatamente di fare i conti con la violenza repressa che scorre nelle sue vene.
DiCaprio, che stava accanto a lui sovrastandolo di una quindicina di centimetri e lo ascoltava come un oracolo. È un’altra cosa, rappresenta nel terzo millennio quello che Gary Cooper era nella vecchia Hollywood e Warren Beatty nella nuova: i belli che sanno anche recitare. Quel che è certo è che De Niro e Di-Caprio sullo stesso palco incarnano la storia della recitazione americana, una storia non banale che in fondo coincide con la storia del cinema. Ma De Niro ha fatto qualcosa di più. È stato, in quei pochi minuti, l’America che ci piaceva e che ci piace. C’è speranza.