Niccolo Casas’ scenes are dystopian: the stuff of science fiction. Leaves emerge from marble windows – reminiscent of giant scales or holes in a wasp’s nest
4 Settembre 2022Libertà va cercando
4 Settembre 2022
di Stefano Bucci
Flashback.«Una storia antichissima» la definisce Giovanna Forlanelli Rovati, presidente della Fondazione Luigi Rovati che mercoledì 7 settembre apre a Milano il «suo» Museo d’arte: «Erano gli anni Novanta, ci eravamo da poco sposati e mio marito Lucio, che aveva sempre avuto e coltivato la passione per l’arte etrusca, legge sul “Corriere della Sera” del restauro appena concluso delle tombe di Tarquinia e dell’umidità che impediva la riapertura delle tombe al pubblico. Così decidiamo di sponsorizzare la realizzazione di una teca di plexiglas che isolasse le tombe e ne permettesse la visita. Partiamo, ma la soprintendente responsabile delle tombe ci blocca immediatamente: grazie, ma queste piccole sponsorizzazioni non ci servono. Amen. Fine del progetto».
Davanti a un lungo tavolo di legno chiaro, in uno spazio simile a un laboratorio (la storia della famiglia Rovati è d’altra parte legata alla ricerca, in particolare nel campo farmaceutica), la presidente (lei stessa medico, come il fondatore Luigi, come il marito e come la figlia) sintetizza quello che per lei rappresenta il problema più grave del «fare arte» in Italia: la burocrazia. Con le 250 opere esposte su due piani (opere che spaziano dal mondo etrusco all’universo contemporaneo) il museo vuole lanciare un segnale di speranza e tracciare nuove strade da percorrere. A cominciare dal rapporto diretto con Milano (il giardino con la sue collinette verdi, il bookshop, il ristorante, il caffè sono già aperti da inizio estate) che si è tradotto nel progetto di restauro, ampliamento e riqualificazione del palazzo firmato da Mario Cucinella, un progetto che trova nell’affascinante piano ipogeo («Ma definirlo ipogeo non mi piace — precisa Giovanna Forlanelli —, non è una tomba, ma qualcosa di vivo, di vitale, che si rinnoverà in continuazione») che ospiterà le mostre temporanee («Prima cominceremo con la scrittura, poi passeremo alle città»).
«Abbiamo sempre considerato l’arte e il collezionismo come espressione di responsabilità civile — prosegue la presidente, fondatrice nel 2005 della casa editrice Johan & Levi — e il museo per noi deve essere un centro di sperimentazione, non solo culturale, ma anche scientifica». Dunque una fondazione privata che deve però fare i conti con una realtà di musei pubblici, piccoli e grandi, una pletora, una miriade, che hanno difficoltà a tirare avanti. Da questa necessità («Quella di una collezione privata è un’idea bellissima, ma ha senso solo se a questa collezione si affida un’utilità sociale e se questa collezione viene vista come qualcosa che resta, che sopravvive ai collezionisti») è nata l’idea di qualcosa di diverso. Qualcosa che dall’ipogeo al piano nobile potesse miscelare i pezzi «classici» del fondatore Luigi, quelli etruschi del figlio Lucio , quelli contemporanei di Giovanna.
Il museo realizzato nell’ottocentesco Palazzo Bocconi-Rizzoli-Carraro, in corso Venezia 52 di fronte ai giardini Montanelli, sarà diretto da Monica Loffredo e potrà contare su un comitato scientifico composto da Mario Abis, Mario Cucinella e coordinato da Salvatore Settis. «Non sarà etrusco, almeno non sarà solo quello — aggiunge Giovanna Forlanelli —. Qui vogliamo sperimentare un museo archeologico diverso, piccolo, con una quarantina dì vetrine e con al massino 200-250 pezzi esposti, non solo etruschi ma con una serie di incursioni (il termine arriva direttamente da Settis, ndr) nel moderno-contemporaneo, per un percorso veloce che non duri più di un’ora perché altrimenti l’attenzione scema. E poi varierà in continuazione utilizzando le opere in deposito, che saranno comunque sempre a disposizione degli studiosi».
Nell’ipogeo ci saranno così gli ex-voto, i piccoli bronzi e una grande urna cineraria in travertino messi a confronto con William Kentridge, Lucio Fontana, Arturo Martini e (soprattutto) con un vaso di Picasso che ripropone l’immagine del banchetto etrusco e che potrebbe tranquillamente sembrare etrusco, mentre la teca più grande accoglie il simbolo (ancora una volta etrusco) del museo, il Guerriero Cernuschi. La Lantern a quatre lumieres di Diego Giacometti, commissionata all’artista dalla collezionista e filantropa americana Rachel Lambert (Bunny) Mellon apre invece il percorso al piano nobile dove alle asce, alle fibule, ai buccheri ritrovati a Tarquinia si affiancano The Etruscan scene di Andy Warhol, le polaroid della serie Etruschi di Paolo Gioli, i lavori di Luigi Ontani, Giulio Paolini, Francesco Simeti, Marianna Kennedy o la grande tela di Giorgio de Chirico Le chaval d’Agamémnon dalla Collezione Giuseppe Merlini («È interessante che tanti collezionisti ci abbiano chiesto di gestire la loro collezione») che ancora una volta reinterpretano l’arte etrusca.
«Un’altra chiave del nostro progetto — conclude Giovanna Forlanelli Rovati — sarà “fare rete”, e quello che è successo per il vaccino anti-Covid lo ha dimostrato in modo evidente, aprirsi alle partnership con altre fondazioni, ma anche con istituzioni, musei e università come con aziende». Con un duplice obiettivo: «Diventare un punto di riferimento non solo artistico ma anche sociale e battere la burocrazia» (quella stessa burocrazia che trent’anni fa aveva impedito la realizzazione delle teche in plexiglas per le tombe di Tarquinia).
Per il nuovo museo non è prevista nessuna inaugurazione ufficiale: «Il 7 parte tutto, fino al 30 l’ingresso sarà gratuito, sarà questo il nostro modo di inaugurare». E il futuro? «Mettere il nostro background manageriale al servizio di un’utilità sociale — dice la presidente —, creare un museo che non sia definitivo, che si trasformi a colpi di contaminazioni e incursioni». Per questo il museo ha studiato («Su modello del Cooper-Hewitt di New York») un’applicazione digitale che consentirà di continuare il viaggio nell’universo etrusco anche da casa.
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