La cruda realtà dei rifiuti
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Il valore del soft power e l’importanza di nuove voci
Il concetto di soft power (letteralmente, ‘potere morbido’) è una delle idee più interessanti ed innovative della scienza delle relazioni internazionali degli ultimi decenni.
Il concetto di soft power (letteralmente, ‘potere morbido’) è una delle idee più interessanti ed innovative della scienza delle relazioni internazionali degli ultimi decenni. Essenzialmente, il soft power si traduce nella capacità di un Paese di influenzare le scelte di altri Paesi attraverso la forza persuasiva e l’attrattività della propria cultura e dei propri stili di vita piuttosto che attraverso la coercizione e la forza. Il legame tra soft power e cultura pop è quindi particolarmente evidente (si pensi all’impatto globale della cultura pop americana del secondo dopoguerra sull’immaginario di intere generazioni di giovani di tutto il mondo), ma altrettanto importanti sono le attività che promuovono la diffusione internazionale di ogni aspetto della cultura materiale e simbolica, dal cibo ai corsi di lingua al prestigio globale delle istituzioni educative.
Molti Paesi, tra cui il nostro, vantano una lunga tradizione di soft power. L’Italia rinascimentale è stata forse il laboratorio più importante e riconosciuto che ha permesso a piccoli stati locali, la cui forza militare era totalmente inadeguata rispetto a quella delle grandi potenze continentali, di negoziare, spesso da posizioni non subordinate, con queste ultime grazie allo straordinario valore simbolico della propria committenza artistica. Ma ha ancora senso parlare di soft power oggi, in un momento nel quale un numero crescente di conflitti armati sempre più minacciosi accende la scena globale come non accadeva da decenni a questa parte? A questa domanda ha provato a rispondere un piccolo ma importante simposio ospitato ad Harvard dal Center for Government and International Studies, che ha riunito un gruppo internazionale di relatori dai mondi dell’università, dell’impresa e delle arti sotto la guida di Christina Lessa di Art Vue, una realtà consulenziale globale che lavora su grandi progetti di sviluppo a base culturale soprattutto nei Paesi emergenti, di Doris Sommer, professoressa ad Harvard e direttrice della NGO internazionale Cultural Agents, e di José Falconi, assistant professor di storia dell’arte e diritti umani all’Università del Connecticut.
Il concetto di soft power (letteralmente, ‘potere morbido’) è una delle idee più interessanti ed innovative della scienza delle relazioni internazionali degli ultimi decenni. Essenzialmente, il soft power si traduce nella capacità di un Paese di influenzare le scelte di altri Paesi attraverso la forza persuasiva e l’attrattività della propria cultura e dei propri stili di vita piuttosto che attraverso la coercizione e la forza. Il legame tra soft power e cultura pop è quindi particolarmente evidente (si pensi all’impatto globale della cultura pop americana del secondo dopoguerra sull’immaginario di intere generazioni di giovani di tutto il mondo), ma altrettanto importanti sono le attività che promuovono la diffusione internazionale di ogni aspetto della cultura materiale e simbolica, dal cibo ai corsi di lingua al prestigio globale delle istituzioni educative.
Molti Paesi, tra cui il nostro, vantano una lunga tradizione di soft power. L’Italia rinascimentale è stata forse il laboratorio più importante e riconosciuto che ha permesso a piccoli stati locali, la cui forza militare era totalmente inadeguata rispetto a quella delle grandi potenze continentali, di negoziare, spesso da posizioni non subordinate, con queste ultime grazie allo straordinario valore simbolico della propria committenza artistica. Ma ha ancora senso parlare di soft power oggi, in un momento nel quale un numero crescente di conflitti armati sempre più minacciosi accende la scena globale come non accadeva da decenni a questa parte? A questa domanda ha provato a rispondere un piccolo ma importante simposio ospitato ad Harvard dal Center for Government and International Studies, che ha riunito un gruppo internazionale di relatori dai mondi dell’università, dell’impresa e delle arti sotto la guida di Christina Lessa di Art Vue, una realtà consulenziale globale che lavora su grandi progetti di sviluppo a base culturale soprattutto nei Paesi emergenti, di Doris Sommer, professoressa ad Harvard e direttrice della NGO internazionale Cultural Agents, e di José Falconi, assistant professor di storia dell’arte e diritti umani all’Università del Connecticut.