Appena compiuti 90 anni, Michelangelo Pistoletto, forse l’artista italiano più noto nel mondo, non solo è intraprendente più che mai nelle sue mille attività di artista (che, lo vedremo, è parola che incarna in modo molto ma molto più ampio di quello cui siamo soliti pensare), ma ne combina ancora di tutti i colori: sperimenta, mette in pratica, agisce, porta idee: e risultati concreti. Non lo fermano di certo l’età, le barriere sociali e geografiche e adesso nemmeno gli incendi – più o meno volontari. Domani, per dire, re-inaugura a Napoli, in piazza Municipio, la mastodontica versione della «Venere degli Stracci», forse la sua opera più famosa presso il grande pubblico (ciò che conta è il concetto, non certo l’esecuzione che, di volta in volta, viene presentata), che, donata alla città dall’artista piemontese (poi troverà spazio in un luogo ancora da individuare), era stata clamorosamente data alle fiamme a luglio, in circostanze ancora da definire. Ma, per il 2024, appena iniziato, è già tutto un fervore di iniziative. Solo una ne menzioniamo tra le tante: a Belgrado, al MoCAB (Museo di Arte contemporanea di Belgrado, opening il 10 maggio) «The Preventive Peace», una grande personale in collaborazione con Zerynthia (con testi di Marijana Kolaric, direttrice del MoCAB, Carolyn Christov-Bakargiev e Danilo Eccher).
E dalla “pace preventiva” parte la nostra chiacchierata. Siamo a Biella, nella sua roccaforte, la Cittàdellarte, lo splendido recupero industriale che è diventato una scuola di attività pratica e di “demopraxia” nella quale tutte le attività del “Pistoletto-pensiero” si estrinsecano: parte da qua, dall’esempio di questa nova civitas l’idea di una concezione diversa del ruolo dell’arte, dell’artista, dell’ “artivista”, ancora meglio, della società.
Anche la data dell’incontro non è casuale: è il 21 dicembre, il “giorno della rinascita” (nel particolare calendario pistolettiano) e la immancabile falda del cappello che porta sempre, lo rende riconoscibile al di là del vetro del ristorante dove ci attende. Brevi convenevoli e il maestro inizia a parlare. Lo fa spesso e volentieri: non gli manca la voglia di porgere le sue riflessioni, ben oltre la pratica artistica.
«Ogni 21 dicembre celebriamo il giorno della rinascita, come risposta alle teorie secondo le quali nel 2012 doveva esserci la fine del mondo. Lo facciamo qui e in tutte le 250 ambasciate della Cittadellarte, con attività varie. Quest’anno il tema è la pace preventiva e i bambini, perché se non si comincia da loro non si arriva da nessuna parte». Una «rigenerazione culturale e sociale partendo dall’infanzia, che si sposa perfettamente con la recente iniziativa vaticana, anzi più che vaticana direi proprio di papa Francesco».
Del resto, Pistoletto è un artista “aurorale” da sempre. È tra coloro che ha ridefinito il concetto stesso di arte, a partire dalla metà degli anni 60 del secolo scorso attraverso l’Arte povera prima, e, poi, con il suo superamento. Interrogandosi sul concetto di identità personale ha intrapreso la via dell’autoritratto come espressione emblematica del suo pensiero secondo il quale il soggetto individuale prende vita in relazione agli altri divenendo un soggetto plurale.
E, dal 1962, ha iniziato a realizzare quei famosi quadri specchianti nei quali chi guarda e il mondo tutto entrano nell’opera. Ma non solo: è stato Pistoletto stesso, come Alice, ad entrare “dentro lo specchio”: il superamento delle frontiere segnate dalla dimensione solo pittorica ha rappresentato per Pistoletto l’apertura a un paesaggio che si affaccia sulla contemporaneità dell’esistenza.
E la ingloba, in una rigorosa teoria del tutto che ha esplicitato in un aureo libro, La formula della creazione (edito proprio in vista della mostra per i 90 anni, in corso al Castello di Rivoli, dove i suoi “uffizi” testimoniano la molteplicità di interessi ed esiti della sua opera) nel quale, in 31 passi, spiega questa formula che, a partire dal simbolo che la rappresenta è la sua firma e la sua eredità.
Un simbolo che parte da quello dell’infinito matematico (una sorta di otto coricato), ma con, in più, una terza circonferenza al centro.
«La formula della creazione consiste nel disegno di una linea che incrociandosi due volte forma tre cerchi. I due cerchi esterni rappresentano tutti gli elementi diversi e opposti che, unendosi nel cerchio centrale, danno vita all’universo e al suo continuo espandersi».
Sembrano concetti davvero astratti: «tradotta in numeri, la formula 1e1=3» ma Pistoletto li persegue, spiega e concretizza con ossessione ammirevole. Scrive nel libro: «Con questo segno sono giunto a connettere la creazione naturale, che sta all’origine del nostro universo, con la creazione artificiale, che ha origine nella mente umana. Si potrebbe dire che sia il simbolo dell’assoluto ma l’assoluto, come la verità, di per sé non esiste».
Pistoletto non ha fretta e frena l’ingordigia del cronista che vorrebbe trovare argomenti più prosaici (il mercato dell’arte, il collezionismo): ed ha ragione, perché se non si parte da premesse corrette e sperimentate in anni di pratica artistica e sociale, si capiscono meno certe scelte d’autore. Quando gli chiedo, per esempio, se abbia ancora senso l’ispirazione individuale, Pistoletto ribadisce con forza un concetto che gli sta a cuore.
«Io penso che l’arte sia libera, l’artista può fare quello che vuole, ma con responsabilità; perché
tu sei libero e tu sei responsabile. E chi è più
libero dell’artista?».
Convogliare l’arte nella società, come «sangue vivo» spiega ancora Pistoletto. «Nel 1967 è nato Lo Zoo, che si chiamava così perché metteva insieme tutte le forme di arte e noi dovevamo uscire dalle sbarre dello zoo e rientrare nella natura, nella società, in una natura artificializzata. Cittadellarte è una istituzione dove si attua quello che si faceva allora uscendo dalle istituzioni. E questo lo stiamo realizzando ora: vengono giovani da tutte le parti del mondo per creare progetti che si realizzano con l’interazione sociale». In effetti, il nesso è molto diretto: l’esperienza dello Zoo dell’arte povera, vissuta intensamente per quattro anni nei 60, ha messo le basi per la nascita di Cittadellarte a Biella negli anni 90. E ancora: «Abbiamo creato qui la città arcipelago» e il metodo Demopratico, da Demopraxia, un nome che si deve a Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte. Pistoletto ricorda come quando diresse la biennale di Bordeaux, nel 2011, il metodo diede frutti diretti. «Non abbiamo invitato gli artisti ad esporre lavori personali, ma a creare opere ideate e realizzate insieme agli abitanti della città», coinvolgendo associazioni di tutti i tipi; un’altra faccia di quella “responsabilità sociale” dell’artista che a Pistoletto sta molto cara.
Ma alla sua età, Pistoletto non ha voglia di fermarsi e fare il maestro. Si mischia con tutto ciò che è più contemporaneo, compresa l’intelligenza artificiale. La mostra di Rivoli, infatti, si apre con un suo autoritratto specchiante: i tatuaggi che ha nel corpo, memoria stratificata, sono altrettanti QR code. E la mostra si conclude con tele dipinte a formare altri QR code: le opere rispondono a “interrogazioni” dello spettatore. E dello stesso artista. «Ho chiesto all’intelligenza artificiale di fare un’opera di Pistoletto», racconta. «Mi ha risposto che non la può “fare”, perché è basata sulla parola, ma la può descrivere. Titolo: “Gli specchi della comprensione”. La illustra e spiega la ragione filosofica dell’opera». E ha funzionato? «Mi sono ritrovato perfettamente. Anzi, sono rimasto stravolto: non ho ancora finito la domanda che ha iniziato a scrivere e, a parte piccolissimi errori, era impressionante la fedeltà». Concludiamo la chiacchierata forse dissentendo su questo punto: credo che la mente umana abbia ancora molto da dire su questa partita. Ma Pistoletto è più avanti di me, probabilmente. «Questa cosa mi dà speranza e felicità, perché noi impariamo sbagliando. E di progressi ne abbiamo fatti tanti. E l’intelligenza artificiale, nella quale noi siamo già dentro tutti, ci potrà aiutare».
Pistoletto mi autografa il libro, mentre arriva il caffé. Lo apro e scorro la prima pagina. Inizia così: «Una cosa di cui non si può fare a meno è credere».
Mentre ritorno a casa e nei giorni seguenti lo sfoglio e lo leggo. Il suo pensiero è chiarito in maniera esemplare. «L’arte è l’arco che attraversa e illumina il buio dell’ignoto, portando nel tempo alla luce tutto ciò che il pensiero umano può raggiungere», scrive nel libro Pistoletto a pagina 64. Compreso, d’ora in poi, quello artificiale. Un credo nell’arte che teorizza, esercita e pratica con un’energia e una forza che ne fanno uno splendido, giovane novantenne.