I dati Svimez fotografano un’Italia divisa in due: al Centro-nord il tasso di abbandoni è del 10,4%, nel Mezzogiorno del 16,6% E a Napoli arriva a sfiorare il 23%. Una disparità che riguarda tutti i servizi, dalle mense alle palestre al tempo pieno
NAPOLI — Dispersi, soprattutto nelle regioni del Sud, ma non solo. Invisibili, almeno fino a quando non incrociano precarietà, sfruttamento, fragilità esistenziali. In qualche caso, il reclutamento criminale. Erano 83mila i ragazzi che, alla chiusura degli scorsi scrutini, sono stati bocciati solo perché non hanno raggiunto la soglia minima delle presenze. Rischiano almeno di raddoppiare, nel 2023. È la piaga dispersione scolastica. Che assegna la maglia nera al Mezzogiorno, ma ha un picco nell’area metropolitana di Napoli.
In Europa li osservano più a valle, sono Early leavers, i precoci nell’abbandono: ragazzi tra i 18 e i 24 anni con nessun titolo di studio o al massimo la licenza di scuola media, rappresentano la somma di tutte le evasioni ignorate: e oggi sono al 16,6% nel Sud Italia (a fronte del 10,4% nel Centro-Nord); quindi quasi il doppio della media del 9 in Europa. Una ferita italiana. Ma non interroga il governo come gli sbarchi, non allarma come irave party. E se la pandemia ha moltiplicato le povertà educative, il progetto di Autonomia tracciato dal ddl Calderoli rischia di sparare il colpo di grazia.
C’era una volta la pubblica istruzione che univa. Oggi, dimmi dove sei nato e saprai quale destino ti tocca. Stretta la connessione, tra i servizi che la scuola nega in alcuni territori e l’abbandono: vedi il tempo pieno, che al Sud è solo al 18 %, contro il 48 del resto del Paese. Di più: a Milano è all’80%, a Napoli solo al 20. Grandi disuguaglianze montano: gli analisti di Svimez guidati dal dg Luca Bianchi, per dire, con il manager Ernesto Albanese de l’Altra Napoli onlus,ci hanno costruito un amaro cartoon, titolo:Un Paese, due scuole.
Due ragazzini di quinta elementare, nati lo stesso giorno: uno vive in Toscana, dove l’85 % delle scuole ha una mensa, e il 75 dispone di palestra; l’altro scolaro invece sta a Napoli, con l’80% delle scuole senza il tempo pieno, e l’83 che non ha palestra. Il bimbo del Nord avrà avuto alla fine della quinta, grazie al tempo pieno, 1.226 ore di formazione, e quello del Sud solo mille. Risultato:alla fine del ciclo, il ragazzino del Meridione è in credito di un intero anno in termini di formazione, doposcuola, educazione alimentare e allo sport. In pratica: un anno di crescita che manca, il “prezzo” della Costituzione tradita. Divario che nessun Pnrr, con la sua miliardaria — e ancora astratta — potenza di fuoco potrebbe mutare, senza azioni sinergiche d’impatto (mai varate, anche da governi di sinistra). E i numeri continuano a crescere.
Quota 23% di dispersione, in media, nell’area metropolitana di Napoli, dove il Comune ha attivato una piattaforma integrata per controllare il fenomeno. Era stato siglato un anno fa anche il “Patto educativo”, ancora al palo, in verità. Il prefetto Claudio Palomba ha ripetuto spesso: «In provincia siamo a picchi del 50-60%, impressionante». E il recente dossier voluto da Ettore Acerra, Ufficio scolastico della Campania, segnala: 3.757 denunce alle due Procure per i minori per inadempienze. Bianchi, da Svimez, anticipa aRepubblica: «Il Pnrr che dedica importanti risorse all’istruzione non raggiunge l’obiettivo di colmare i divari: la priorità oggi è rafforzare il sistema soprattutto nelle aree più marginali, garantendo asili nido, tempo pieno, palestre. Da una ricerca Svimez in via di pubblicazione emerge che l’investimento per alunno del Pnrr sull’istruzione (esclusi gli asili nido) è stato pari a 903 euro nella provincia di Milano, dove il tempo pieno è assicurato al 75 % dei bambini della primaria, mentre è di 725 euro a Palermo, col tempo pieno solo al 10%». E con l’Autonomia? «C’è il rischio grave: adattare l’intensità dell’azione pubblica alla ricchezza dei territori. Quindi, più investimenti e stipendi lì dove se li possono permettere: pregiudicando la funzione principe della scuola, fare uguaglianza». Denunce, carte. «Partono le segnalazioni ai Servizi sociali e alla Procura. E poi? Poi nulla», testimonia Valeria Pirone, la dirigente che a Napoli est guida il Vittorino da Feltre, 850 alunni, dai 3 ai 14 anni. Per inciso, un’altra delle sue allieve,Chiara, è diventata mamma a 14 anni. Caso isolato? «Macché, tante».
Gli esempi positivi esistono. Ma quasi sempre partono dal basso. Proprio dall’incontro tra Fondazione Riva e salesiani (con padre Loffredo, Fondazione San Gennaro, Cometa, If, Millepiedi, Regione) è nata a Napoli nel 2019 la Scuola del Fare. «Sembrava una follia. Volevamo dare una reale prospettiva di ingresso nel mondo del lavoro a giovani che avevano mollato la scuola — spiega il presidente Antonio Riva — Oggi, 140 ragazzi frequentano. E quelli del quarto anno sono inseriti, come operatori della logistica o di officine meccaniche». E poiché il caso (non) fa strani scherzi, la scuola è intitolata a Giulia Civita Franceschi, che negli anni Venti del secolo scorso trasformò la nave Caracciolo in una innovativa scuola per 750 ragazzi. Scugnizzi che diventarono i “caracciolini”: strappati a ignoranza e povertà. Per inciso, ci pensò il fascismo a spezzare uno straordinario modello educativo che guardava al futuro.