Sarà un consiglio dei ministri light ma quello atteso per oggi segna la ripresa delle attività di governo, anche se probabilmente non tutti i ministri potranno essere presenti di persona.
Intorno al tavolo, tuttavia, siederanno forze una contro l’altra armate. Anche se nulla verrà deciso, sullo sfondo di ogni decisione ci sarà la legge di Bilancio da approvare entro l’autunno: difficile perchè le risorse vanno ancora individuate e soprattutto all’insegna della parsimonia e del rigore.
Gli ultimi giorni e soprattutto le schermaglie dal palco del meeting di Rimini, tuttavia, hanno restituito l’immagine di un governo con forti posizionamenti interni ed espliciti orientamenti contrapposti.
L’asse più forte, che sembra essersi rinsaldata alla luce degli obiettivi della finanziaria, è quella tra la premier Giorgia Meloni e il ministro all’Economia, Giancarlo Giorgetti. Tra i due qualcosa si era incrinato dopo che la premier aveva rivendicato per sè la regia politica della tassa sugli extraprofitti delle banche, relegando il ministro a semplice firmatario del testo di legge. Oggi, invece, i loro orientamenti sono in sintonia. Giorgetti, pur leghista, si è ritagliato un ruolo quasi tecnico di custode dei conti, anche a prescindere dai desiderata del suo stesso partito. Dal palco di Rimini ha ricordato che le risorse sono poche e che non si potranno immaginare spese pazze, se si vogliono tenere sotto controllo i conti in una fase complicata per l’economia non solo italiana ma europea. Parole che hanno convinto Meloni, che dal suo buen retiro pugliese non ha parlato esplicitamente ma solo fatto filtrare orientamenti. Con la legge di Bilancio la premier si gioca la credibilità anche in ambito europeo, dove l’Italia è impegnata su vari fronti, dal Pnrr alla richiesta di rinegoziare il patto di Stabilità. Per questo è consapevole di non potersi permettere spese pazze nè misure di bandiera. La prospettiva di massima, per ora, è quella di puntare sulla riduzione del cuneo fiscale in favore dei ceti medio bassi, nella speranza di innescare un meccanismo di crescita.
In settimana, tuttavia, si svolgeranno una serie di incontri politici in cui verrà delineata meglio la direzione compessiva. Da ambienti di via XX Settembre, infatti, viene chiarito che nessuna decisione è ancora stata presa, perchè il quadro macroeconomico generale deve ancora essere delineato. I primi dati consolidati, infatti, arriveranno nei primi dieci giorni di settembre.
IL NODO PENSIONI
Proprio questo piano di cordoni stretti della borsa e nessuno spazio per misure chiaramente spendibili a livello elettorale avrà in Matteo Salvini il grande oppositore. Il leader leghista, infatti, è in pieno tour per le provincie italiane e da ogni palco anticipa nuove misure. Il suo grande cavallo di battaglia è diventato il ponte sullo Stretto di Messina, per il quale serviranno investimenti importanti, ma la bandiera principale è quella delle pensioni con Quota 41. Poi, soprattutto nelle regioni del Nord, promette che la riforma dell’autonomia verrà chiusa con il caloclo dei livelli essenziali delle prestazioni.
Tre grandi promesse, che però non possono trovare riscontro economico nei numeri della prossima finanziaria.
Su questo Meloni dovrà fare i conti anche con Antonio Tajani. L’altro vicepremier, che si trova a gestire una Forza Italia in affanno e in fase di ricostruzione, rivendica a sua volta la necessità di ripartire dall’aumento delle pensioni. Storico pallino di Silvio Berlusconi, è stata una delle promesse elettorali del partito in campagna elettorale e sarebbe utile sponda in vista delle europee del 2024.
Tutti contro tutti
Il risultato rischia di essere un consiglio dei ministri ad alta conflittualità. Da un lato del tavolo i parsimoniosi Meloni e Giorgetti, dall’altro Salvini e Tajani che invece chiedono misure più spendibili sul piano elettorale e conseguenti al programma con cui il governo si è presentato. Il fronte di Lega e Forza Italia, tuttavia, non è unito: i due vicepremier si sono punzecchiati negli ultimi giorni sul tema delle liberalizzazioni. Nuova parola d’ordine di Tajani, il ministro degli Esteri ha proposto di fare cassa privatizzando i porti, guarda caso di apannaggio del ministero di Salvini e ipotesi immediatamente rispedita al mittente.
Il risultato è che i tre partiti della maggioranza, per ora, si trovano su posizioni molto distanti rispetto alla stesura della legge di Bilancio. Con l’unico comune denominatore della conferma del taglio del cuneo fiscale, che già di per sè costerà circa 12 miliardi di euro sui 20 totali ipotizzati. Si tratterà, infatti, di confermare il beneficio per circa 13,8 milioni di buste paga fino a 35milia euro di reddito lordo, che altrimenti perderebbero i famosi 100 euro in più ottenuti quest’anno. Ci sarà spazio per poco altro, e la sua determinazione segnerà ancora di più i rapporti di forza dentro all’esecutivo: Meloni decisa ad essere sempre più accentratrice, Salvini e Tajani coscienti che – per sopravvivere politicamente – dovranno uscire dal cono d’ombra della premier, anche a costo di alzare la conflittualità.