Melillo: “Spionaggio, fatto grave. Indagini simili in altre procure”
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«Gli squilibri strutturali ed economici fortemente presenti nel meridione», senza «un percorso di superamento delle criticità portate dalla riforma sull’autonomia differenziata», possono «portare a colpire in modo grave l’unità nazionale in favore di preoccupanti spinte secessioniste istituzionalizzate». È grave il tono dell’allarme lanciato in una documentata nota dalla Conferenza episcopale siciliana (Ces), che nel maggio 2023 aveva già denunciato le «criticità» della riforma istituzionale all’esame del Parlamento (riserve che «in parte sono state recepite») ma che ritengono ora loro dovere tornare a intervenire poiché «ne permangono ancora altre». Ecco allora le due cartelle fitte di rilievi giuridici e finanziari nel merito del disegno di legge, a cominciare dal fatto che è «caratterizzato da un’architettura che tende a creare asimmetrie all’interno di un regionalismo asimmetrico». I vescovi siciliani colgono un punto nevralgico: « Manca un esplicito e necessario richiamo all’articolo 2 della Costituzione – fanno notare –, fonte del dovere di solidarietà sociale in favore dei soggetti meno abbienti, che costituirebbe un ulteriore e migliore ancoraggio costituzionale anche a garanzia e vincolo nella determinazione dei Lep», i Livelli essenziali delle prestazioni, determinati nel progetto dal criterio della spesa storica, che però «farebbe allargare ancora di più la forbice della disomogeneità territoriale delle regioni italiane». Perplessità ancora maggiore suscita il fatto che i Lep possano essere determinati «attraverso un atto amministrativo – il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –, che può provocare più di una perplessità se si considera la cornice costituzionale che lo concerne».
Un fatto solo tecnico? C’è ben di più. Per l’episcopato dell’isola «la differenziazione è da considerarsi come un corollario del principio di sussidiarietà in un processo di razionalizzazione dimensionale delle competenze tra centro e periferia ». Ne consegue che «la dislocazione differenziata di funzioni legislative in singole Regioni non è affatto un adempimento costituzionalmente necessario, o addirittura un “diritto” di alcune Regioni (o dei loro “popoli”)» ma «deve invece considerarsi
come possibilità di adeguamento del quadro dei poteri, ove prevale l’esigenza di una più piena attuazione del principio di sussidiarietà ». Ancor più critico l’aspetto finanziario: « La compartecipazione – denuncia la Ces – si collega alla produttività dei territori regionali, con la conseguenza che territori maggiormente produttivi avrebbero introiti maggiori di altre realtà territoriali con una produttività storicamente ridotta, e ciò trasformerebbe la differenziazione in diseguaglianza con l’evidente rischio di colpire concretamente la coesione dei territori mettendo in grave pericolo l’unità nazionale ». Un nodo che va sciolto: «Fino a che le regioni del meridione non raggiungono, con un fondo dedicato, almeno la media della capacità fiscale nazionale per abitante non si può affrontare per nessuna regione il tema dell’autonomia differenziata a meno che non si preveda un fondo di solidarietà nazionale vincolato a sanare le disparità delle capacità fiscali territoriali ». L’appello dei vescovi siciliani non è solo al Parlamento: «La classe dirigente politica siciliana – concludono – dovrebbe chiedere al governo nazionale l’attuazione completa dello statuto e non sprecare le risorse in dotazione».
Non è la prima volta che un episcopato regionale prende posizione sulla complessa questione dell’autonomia differenziata. Il 1° febbraio i vescovi calabresi avevano «espresso grande preoccupazione» per un provvedimento che «rischia di diventare motivo di ulteriore divario tra Sud e Nord, tra aree sviluppate e regioni più povere, minando il principio di unità e solidarietà e compromettendo il diritto alla salute, all’istruzione e l’accesso ai servizi essenziali che lo Stato dovrebbe garantire a tutti i cittadini». Pochi giorni fa si è levata la voce dell’episcopato pugliese, che si è fatto portavoce della «preoccupazione che tale iniziativa legislativa possa minare quel principio di uguaglianza caro alla Costituzione e vitale per il cammino del nostro Paese e si è formulato l’auspicio che il dibattito parlamentare possa essere pacato e articolato per il bene della comunità nazionale». Per i vescovi della Campania ha parlato il presidente Antonio Di Donna, pastore di Acerra: «La cosiddetta “autonomia differenziata” – ha scritto in un articolato intervento – potrebbe provocare conseguenze negative sull’intero Paese; non si tratta, infatti, di decentramento, bensì di una sostanziale “secessione dei ricchi”, secondo la ricerca del bravo Gianfranco Viesti. Non è, infatti, un caso, che l’iniziativa sia stata presa dalle Regioni più ricche del Paese».
La stessa Cei ha fatto presente, attraverso il segretario generale monsignor Giuseppe Baturi, che «c’è preoccupazione che questo meccanismo finisca per aggravare le disuguaglianze» esprimendo l’auspicio che che «ci sia una differenziazione nell’aiuto, in modo da venire incontro ad eventuali lacune e disuguaglianze ». Esternando «qualche preoccupazione» che il disegno di legge possa «allargare ulteriormente la forbice delle diseguaglianze», i vescovi italiani avevano dedicato alla riforma un passaggio del comunicato finale del Consiglio Cei affermando che «di fronte a un tessuto sociale che si sfilaccia – la crisi demografica, con l’incapacità di immaginare un futuro, è solo uno dei segnali – occorre rivitalizzare il dialogo, l’incontro, la pastorale». Poche settimane prima un campanello di allarme era risuonato da un altro consesso episcopale: nell’incontro di luglio fra una trentina di vescovi delle di diverse “aree interne” del Paese, a Benevento, era stata «condivisa la preoccupazione sui rischi connessi alle proposte di autonomia differenziata: il timore è che possa indebolire i legami di solidarietà che promuovono la persona e rendono coesa la comunità nazionale ». I lettori di Avvenire ricorderanno infine l’intensa riflessione dell’arcivescovo di Napoli Battaglia: «Le leggi – ha scritto tra l’altro il 28 gennaio – non si fanno per il tempo politico di chi le vara. Si fanno per tempi lunghi, quelli che vanno a incontrare la vita dei nostri ragazzi ». C’è di che riflettere per chi lavora al cantiere della riforma.