Tuttavia, oggi, la stessa coalizione sta scoprendo che “non si fanno le nozze con i fichi secchi” o detto in altri termini, non si può avere crescita economica col lavoro povero. Ma vediamo in dettaglio, e analiticamente, come stanno le cose e qual è lo stato del mercato del lavoro italiano
La tanto sbandierata crescita di occupazione del 2023 e 2024, non solo è trainata da salari reali più bassi (a causa dell’inflazione) e lavoro povero e improduttivo, ma è in gran parte anche fittizia, e si spiega attraverso una attenta analisi dei dati di seguito illustrati. Innanzitutto la stagnazione del Pil (con una crescita di circa 0,6% nel 2023 e nel 2024) ci indica che semmai ci fosse una crescita occupazionale, essa è appunto improduttiva: non si vede cioè nella crescita del Pil e nella produttività.
Sono cinque i dati negativi che emergono principalmente sul mercato del lavoro.
1) La quantità di lavoro
Le ore lavorate, in termini pro-capite ma anche complessivamente, sono inferiori oggi non solo al 2007, anno di picco, prima della crisi finanziaria e del debito, ma anche al periodo pre-pandemico, come indica il grafico 1. Fatto 100 l’anno base, nel 2015, si raggiunge un picco nel 2007 con 107, si rimane intorno a 101 nel 2019, e si arriva a circa 99 oggi.
2) I segnali di difficoltà
Dal 2023 ha ripreso a crescere la cassa integrazione, dopo che nella crisi pandemica aveva raggiunto il picco, e la successiva riduzione nel 2022 (grafico 2). Nei primi mesi del 2024 siamo a circa 48 milioni di ore totali di cassa autorizzate. Le imprese stanno fronteggiando un declino industriale, con scarsa domanda, e mettono a riposo i lavoratori. Tuttavia, i lavoratori in cassa integrazione, con meno di tre mesi di cassa (praticamente quasi tutti oggi) vengono considerati occupati secondo le nuove regole di Eurostat e di Istat. Ciò fa salire il numero di occupati e non fa aumentare la disoccupazione.
3) La sotto-occupazione
Un ulteriore droga del nostro mercato del lavoro è il lavoro part time. Questo lavoro dà l’idea che l’occupazione sia più alta di quanto sia realmente, e nasconde molta sotto-occupazione. Il part time involontario rappresenta il 60% dei casi. Esso è particolarmente insidioso per le donne, ed è aumentato esponenzialmente dagli anni Novanta in poi. In media, il part time (pubblico e privato) è circa il 18% dell’occupazione totale (4,3 milioni di lavoratori), ma è particolarmente accentuato per le donne, ed è il doppio che in Europa, sia quello femminile che quello maschile. Nel settore privato poi, il part time maschile e femminile raggiunge cifre ancora maggiori come vediamo nel grafico 3 (in media circa il 30%). Dal 2018 in poi, il trend è diminuito, ma ha ricominciato a crescere dalla fine del 2022, ritornando sui livelli record del 43% per le donne e 17% per i maschi nel 2023. Anche questo influisce sulla riduzione delle ore lavorate, seppure in presenza di un numero maggiore di “teste” di occupati.
4) Più precari
Il lavoro a termine è l’altra piaga che finisce per determinare, soprattutto per i giovani, un lungo limbo di precarietà. Fin dalla ripresa post-pandemica è aumentato (Grafico 4). L’unico calo, prima del periodo pandemico, si era avuto tra il 2018 e il 2019, grazie al decreto Dignità, come abbiamo più volte scritto, e su cui c’è ampio consenso. In ogni caso, è bene leggere i dati almeno anno per anno, piuttosto che nelle fluttuazioni mensili, dove si trovano picchi o cali dovuti a periodi stagionali e non stagionali. A fine 2023 abbiamo raggiunto gli oltre 3,6 milioni di rapporti temporanei complessivamente (oltre 2,5 milioni nel settore privato non agricolo). Anche questi dati rappresentano picchi di record, che si erano raggiunti solo nel periodo precedente al decreto Dignità.
5) Il calo demografico
Infine occorre ricordare che viviamo in un periodo in cui il calo demografico, in ripresa dal 2008, comincia a influenzare le dinamiche del mercato del lavoro, e i tassi di partecipazione, i tassi di occupazione e di disoccupazione. Il calo demografico infatti ha avuto un impatto sul denominatore della frazione che individua questi tassi, e in particolare sul tasso di occupazione, come già certificato, tra gli altri, nel rapporto annuale della banca d’Italia del 2023 secondo cui “il numero di persone convenzionalmente definite in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è diminuito di quasi 800.000 unità”. Questo contribuisce a far aumentare, solo in percentuale, il tasso di occupazione da circa il 59% a circa il 61%. Ma si tratta di un aumento fittizio, statistico e non reale.