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8 Ottobre 2023Libri La casa editrice Clichy riscopre il saggio di Giovanni Papini del 1953 che fece scandalo In 85 «schede» un colto excursus per una tesi: la redenzione dell’Angelo caduto è possibile
di Mario Bernardi Guardi
Nel 1953 il fiorentino Giovanni Papini è un vecchio di 72 anni, con tutti gli acciacchi della sua età. E con in più il carico di una vita turbinosa e feconda. Perché con lui è nato il Novecento delle battaglie culturali, delle appassionate avventure in campo filosofico e artistico, letterario e politico, delle avanguardie all’assalto del cielo con foga creativa e distruttiva. Negli umori e malumori intellettuali del XX secolo Papini c’è dentro tutto. A partire da quelle Riviste che sono una officina di rovente genialità. Leonardo , La Voce , Lacerba — con Prezzolini e Soffici, e una baldanzosa schiera di amici — sono l’«impeto» del Novecento che trova in Firenze la sua anima.
Giovanni, un «brutto anatroccolo» occhialuto, figlio di bottegai e autodidatta, ci tiene ad essere un ribelle, un incendiario, che strapazza tutti i conformismi, ce l’ha a morte con i ben pensanti, la borghesia, le istituzioni, la Monarchia, la Chiesa e spara addosso a tutte le accademie in nome della libera ricerca. Sempre in prima linea. E più che mai quando i futuristi gli sembreranno marciare verso l’avvenire e, scatenato, combatterà nelle loro schiere; e, poi, da convinto interventista; e, infine, nel primo dopoguerra, da sostenitore di Mussolini. Ma fin qui il pagano, nietzschiano e anticlericale è in linea con le sue colorite sparate eretiche. Poi, nel ’21, la sorpresa che nessuno si aspetta. Perché Papini, fino ad allora un «indemoniato» che ha provato sempre un immenso gusto nel demolire la tradizione cristiana, pubblica un libro, Storia di Cristo, il segnale di una conversione. Non tutti ci credono. È un altro suo esperimento intellettuale dicono diffidenti. Ma i gesuiti e Civiltà cattolica difendono l’opera.
Torniamo al 1953. Perché in quest’anno da Papini viene un’altra sorpresa. Se tutti lo credevano «un uomo finito» — per citare il titolo di un suo libro del ’12 — e messo ai margini perché compromesso col Regime e poi con la Rsi, ecco che questo vecchio malandato, cieco e con la paralisi che gli ha tolto quasi del tutto l’uso della parola, pubblica una nuova opera. Tanto inattesa, quanto sconvolgente: Il diavolo , edito dalla Vallecchi. Adesso riproposto dalla Clichy, a cura di Luca Scarlini, è un libro che turba e disturba. Come una scandalosa provocazione. Visto che Papini, investigando il magistero ecclesiale, esplorando i più svariati testi, tutto sottoponendo a una raffica di riflessioni e interrogativi, «vuole affermare in sintesi la possibilità della redenzione del demonio dalla condanna eterna, che è uno dei dogmi della Chiesa». Insomma: Dio è amore e ha mandato sulla terra suo Figlio, per sconfiggere il peccato e redimere gli uomini. In questo progetto deve trovar posto anche il Principe di questo mondo, annientandone l’orgoglio, l’invidia, l’odio — ed anche l’amara solitudine — con un atto d’amore che riscatta il più bello degli Angeli dalla sua caduta e dalla sua condanna.
Lo sconcerto è forte. Ma come! Il convertito Papini tira fuori le fantasie sataniche degli anni giovanili e le Stroncature in cui simpatizzava per Lucifero, aedo della orgogliosa ribellione contro Dio! No, così non va. L’Osservatore Romano stigmatizza lo scrittore e quello che ai suoi redattori appare un «trattato deviante». Siamo di fronte — è l’accusa — al vecchio «scapigliato» del primo Novecento, che ci gode a sorprendere e impressionare. Dunque il libro va messo all’Indice. E nella condanna quel che probabilmente irrita di più è il fatto, come ricorda Scarlini, che l’opera è concepita e attuata per schede, rispondenti a temi specifici, «a partire da una profonda rilettura della teologia, dei modelli della patristica, fino alle cadute di questo immaginario nella cultura contemporanea».
Ottantacinque «voci» dove si parla di streghe, del satanista Lord Byron, del Canto ad Demonio Arimane di Leopardi, delle sfide del Faustus di Mann, per arrivare a una finale «conciliazione», a un approdo «pascaliano»: può darsi che la Chiesa continui a dire no alla redenzione di Lucifero, ma il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce e seguiterà a bramare il sì, perché è Cristo a dirci che soprattutto l’impossibile è credibile.
Da modesti lettori, cosa possiamo aggiungere? Banalmente, che ci troviamo di fronte a un libro straordinario per l’originalità del suo percorso. Che vuol essere sempre ragionato, aperto: non uno scontro ma un confronto. Papini è e resta un convertito. Quello della Storia di Cristo , quello che negli anni tra le due guerre ha collaborato a una delle più belle riviste di cultura cattolica: Il Frontespizio di Bargellini. Nonché un devoto terziario francescano. Un fascista? Sì, ma ha deprecato la diabolica mostruosità della guerra, dell’odio ideologico che ha ammazzato Gentile e che ammazza gli antifascisti, del razzismo che infuria sugli ebrei.
Probabilmente Papini turba proprio per la libertà del suo spirito. Lo aveva chiaro Jorge Luis Borges che ospitò nella Biblioteca di Babele alcune sue prose giovanili.
Certo, allora Papini plaudiva al Lucifero ribelle. Ora vuol «salvare» l’Angelo Caduto e restituirlo allo splendore originario nel riconquistato Amore, frutto del Perdono.
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