Manifattura in ritirata: 59mila attività perse negli ultimi cinque anni
3 Febbraio 2025Vox, Le Pen e neonazi la galassia nera usata da Mister X per far saltare l’Unione
3 Febbraio 2025
di Massimo Gaggi
Perché Donald Trump scatena la guerra dei dazi senza nemmeno avviare un negoziato e nonostante quasi tutti, anche a destra — dal Wall Street Journal agli economisti e ai think tank conservatori — lo avvertano che danneggerà l’economia americana tra ripresa dell’inflazione e gelata del commercio? Si possono formulare tre ipotesi: da quella di visioni economiche alterate dal mito degli anni ruggenti dell’industrializzazione americana dell’Ottocento e del primo Novecento a quelle psicopolitiche legate alla sua convinzione di avere la fiducia illimitata dei suoi elettori. E anche un mandato senza limiti.
Ma serve una premessa: se nel Trump 1 il presidente era imprevedibile ma poi, nelle decisioni estreme, veniva contenuto da un team di conservatori «istituzionali», lo è ancora di più ora che, dopo essersi lungamente preparato a rimuovere gli ostacoli al suo potere assoluto, si considera legittimato dal voto ad attuare tutto quello che ha promesso (o minacciato) in mille comizi. Tutto: dai dazi alla «riscrittura della storia» con quello che ne consegue come trasformazione autoritaria delle strutture dello Stato e anche di vendette politiche. Lo abbiamo scritto ripetutamente fin da quando, a fine 2023, è venuto fuori il sinistro Project 2025.
T rump l’ha disconosciuto a parole, ma ora lo sta attuando e ha portato nel governo i suoi autori.
La prima ipotesi è quella dell’abbaglio storico-economico: il sogno di sostituire le tasse a carico degli americani con i dazi pagati dagli esportatori stranieri. Il suo ministro del Commercio, Howard Lutnick, vorrebbe tornare a inizio Novecento quando bastavano i dazi a coprire la spesa federale. Non è possibile: Grover Norquist, gran conservatore reaganiano, ha spiegato proprio sul Corriere che i numeri sono enormemente cambiati (allora la spesa federale assorbiva appena il 6% del Pil, ora siamo oltre il 25). Ma Trump insiste, affascinato dalla figura della presidenza imperiale di William McKinley (1897-1901): protezionismo per far crescere l’industria Usa a partire da quella dell’acciaio e ampliamento dell’influenza americana, da Porto Rico alle Filippine. Vorrebbe ripercorrere quella strada, parla di acciaio e petrolio, anche se oggi l’economia è soprattutto digitale e dipende da catene di forniture complesse e delicate. Trump sa che rischia di creare inflazione e di frenare l’economia: avverte che all’inizio ci saranno difficoltà, ma si dice fiducioso che i suoi elettori capiranno e stringeranno i denti. Quanto agli effetti negativi sulla crescita, conta di neutralizzarli con nuovi sgravi fiscali e un’ulteriore riduzione dei vincoli per le imprese.
Una seconda interpretazione (parzialmente sovrapponibile alla prima) è legata alla concezione di Trump della politica in termini non di cooperazione multilaterale, ma di affermazione della leadership americana attraverso l’uso della forza soprattutto economica. Questo lo porta ad avere più rispetto per i potenti, anche se avversari (Cina e Russia) che per gli alleati deboli: Messico, Canada e anche Europa.
Ora dobbiamo chiederci se Trump seguirà solo il suo risentimento economico nei confronti della Ue che spende poco per la difesa godendo dell’«ombrello» americano mentre invade gli Usa coi suoi prodotti o se userà i dazi anche in chiave politica per tentare di portare divisione a Bruxelles, favorendo i Paesi (magari anche l’Italia) che percepisce come più vicini.
Purtroppo dobbiamo considerare anche una terza ipotesi, ancor più radicale, che ha a che fare con la brutalità di questi primi giorni della sua azione di governo, compresi i dazi imposti in un modo che sembra smentire la sua logica da dealmaker : decisi senza nemmeno considerare le aperture negoziali di Messico e Canada. L’ipotesi è che Trump, studiato da tempo come governare in modo autoritario eliminando i vincoli che l’hanno frenato nel suo primo mandato, stia imponendo su tutti i fronti cambi di paradigma per affermare il potere assoluto dell’esecutivo, ignorando le leggi del Congresso (e, in qualche caso, la Costituzione), usando a sproposito poteri emergenziali, tastando il terreno per vedere fin dove può spingersi — all’interno e all’estero — senza incontrare grandi resistenze.
I dazi nei confronti di Messico e Canada — una violazione degli accordi di libero scambio da lui stesso negoziati coi due vicini — li ha giustificati dichiarando un’inesistente emergenza economica sulla base di una legge, l’ Emergency Economic Powers Act , non concepita e mai usata per i dazi. Misure che sicuramente verranno impugnate davanti ai tribunali, già intasati dai ricorsi su decine di altri interventi decisi da Trump in questi primi giorni della sua presidenza. Durante la quale ha dichiarato anche un’inesistente emergenza energetica, mentre il Wall Street Journal , che lo accusa di dare una «lettura aggressiva della Costituzione» e di demolire il sistema di pesi e contrappesi della democrazia americana, pubblica un elenco dei suoi ordini esecutivi che bloccano l’attuazione di leggi votate dal Congresso: dagli interventi per le infrastrutture a quelli per evitare discriminazioni sui posti di lavoro.
Nel caso dei dazi è difficile negoziare non solo per il ricorso a strumenti legali assai discutibili, ma anche perché le sanzioni, basate su un’accusa generica (non fare abbastanza contro l’immigrazione clandestina e il Fentanyl) sono inverificabili. La cosa forse ancor più allarmante, però, è la sortita della portavoce di Trump che sabato sera, dopo l’annunciò dei dazi, ha ammonito i media a non diffondere fake news circa i loro effetti negativi. Dunque, non più solo giornali liberal nel mirino, ma la pretesa di ridisegnare la realtà a immagine e somiglianza del presidente, anche davanti alla scienza economica, al mondo produttivo conservatore, ai mercati. Una totale rottura con un passato di ordine stabile, impegni onorati, rispetto della legge, secondo la celebre voce conservatrice di Peggy Noonan. E un salto in una nuova era che lei definisce con tre aggettivi: emotiva, tribale, viscerale.