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11 Maggio 2025Le aiuole mistiche del Carmelo
testo di Cristiana Dobner
Il lessema “giardino” – dal franco gard, luogo chiuso, recinto – va iscritto nella filosofia, nella teologia oppure nell’esperire mistico? Il topos del giardino ha sempre affascinato i poeti ma ha anche richiamato chi avvertiva dentro di sé un pullulare del proprio sentire in cerca non solo di risposte ma anche di riposo e quies. Il Giardino dello Spirito risponde agli interrogativi che la persona si pone dinnanzi alla natura e all’Altissimo stesso: simultaneamente, dunque, Giardino dello Spirito e giardino dello spirito.
L’Eden biblico ha segnato la spiritualità monastica in modo indelebile e l’Hortus conclusus del Cantico dei Cantici diventa “ locus anachoresis”, ossia luogo di meditazione. Fu Benedetto nella sua Regola, nel 534, a riprendere i giardini romani nelle loro quattro zone portandoli nella vita monastica, con l’aggiunta della rosa, simbolo della sposa, della Chiesa, della Vergine Maria e del sangue di Cristo, con il giglio della purezza, la palma della giustizia e della gloria. Il paradiso perduto, l’Eden, veniva espresso nel Medioevo come un luogo circolare e sacro, all’incrocio della volta del cielo, l’infinito, e della terra, il finito, espresso invece dal quadrato.
A Venezia, nel sestiere di Cannaregio, dal vivo e direttamente, si penetra nel nucleo del carisma del Carmelo: il giardino mistico con sette aiuole, così come sette sono le dimore del Castello interiore di santa Teresa di Gesù – la quale, a proposito dell’orazione, scriveva: «Il principiante deve pensare che inizia a coltivare un orto in terra arida e piena di erbacce, perché in esso il Signore trovi il suo diletto. Sua Maestà toglie le erbe cattive e vuole piantare le buone. Facciamo conto che questo sia già stato fatto quando l’anima si determina a praticare l’orazione e ha incominciato. Con l’aiuto di Dio, dobbiamo cercare, da buoni giardinieri, che tali piante crescano, e potarle perché non vadano perdute, ma che da loro nascano fiori che producano un delicato profumo per ricreare nostro Signore, e venga spesso a dilettarsi nell’orto e a riposare tra le virtù».
Così si snodano le aiuole. La prima è una distesa di prato erboso e si aggancia alla settima: nella pienezza della pace. La seconda è l’orto dei semplici, con nove erbe medicinali perché il nove indica la sconfitta del male; ogni erba è destinata a una parte del corpo, e rimanda alla sesta dimora, dove l’anima viene purificata. La terza rimanda alla quinta dimora: per Teresa la persona collabora con lo Spirito e, quindi, persona umana e natura si giocano insieme. La quarta è un vigneto di 17 filari: dieci sono i comandamenti, sette i sacramenti, quindi Gesù presente con il suo annuncio. La quinta è il frutteto, ossia la generosità: della terra e dello Spirito. Gli alberi appartengono a quaranta specie diverse proprio come le tappe più importanti della storia di fede tra Dio e il suo popolo. La sesta simboleggia con i suoi tredici ulivi l’amicizia di Gesù con i dodici apostoli. All’ultima aiuola il cammino spirituale giunge al traguardo e si incontra con otto diversi tipi di alberi, fra cui l’albero di Giuda, il siliquastro, la marruca che divenne la corona di spine di Gesù, il salice con cui venne formata la frusta con cui fu colpito il Salvatore. La Vergine circondata da roseti bianchi è il culmine di tutto il percorso.
Scrive Giovanni della Croce nel Cantico Spirituale (17,5): Fermati, vento morto; vieni, austro che ridesti gli amori, spira sul mio orto e corrano i tuoi odori e pascerà l’Amato in mezzo ai fiori.
E commenta il grande mistico carmelitano, invitando a fare propria la dimensione del giardino mistico: «L’orto è l’anima stessa. Infatti, come sopra ha chiamato l’anima vigna fiorita, perché il fiore delle virtù che si trova in lei le dà vino di dolce sapore, così anche qui la chiama orto, perché in lei sono piantati e nascono e crescono i fiori di perfezioni e virtù di cui abbiamo detto. Bisogna qui notare che la sposa non dice spira nel mio orto, ma spira attraverso il mio orto; infatti, è grande la differenza esistente tra lo spirare di Dio nell’anima e lo spirare attraverso l’anima. Infatti, spirare nell’anima è infondere in lei grazia, doni e virtù; spirare attraverso l’anima significa che Dio tocca e muove le virtù e le perfezioni che le sono già state date, rinnovandole e muovendole in modo che diano di sé all’anima mirabile fragranza e soavità. Come quando manipolano le spezie aromatiche, che spandono l’abbondanza del loro odore, il quale prima né era tale né si sentiva così forte. Infatti, le virtù che l’anima possiede in sé, acquisite o infuse, non sempre le sente e le gode attualmente; infatti, come poi diremo, in questa vita stanno nell’anima chiuse come fiori in boccio o come spezie aromatiche coperte, il cui odore non si sente fino a quando non sono aperte e mosse, come abbiamo detto. Ma a volte Dio fa tali grazie all’anima sposa che, spirando con il suo Spirito divino attraverso il suo giardino fiorito, apre tutti i bocci di virtù e scopre le spezie aromatiche di doni e perfezioni e ricchezze dell’anima e, manifestando il tesoro e la ricchezza interiore, ne scopre tutta la bellezza. Allora è cosa mirabile da vedere e soave da sentire la ricchezza dei suoi doni che si scopre all’anima e la bellezza dei fiori di virtù, già tutte aperte nell’anima. Ed è inestimabile la soavità di odore che ciascuna gli dà di sé secondo la sua caratteristica ». Hortus conclusus per chi è condotto dallo Spirito.
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