Ricostruzioni e tracciati radar sono stati rimossi dalla documentazione di quell’anno E Meloni nomina in Commissione di vigilanza un tecnico sostenitore della tesi della “bomba” Solo l’acquisizione di documenti dall’estero potrebbe ormai contribuire in maniera determinante a ricostruire quanto avvenuto in quella notte del 27 giugno 1980.
Ustica, insieme a molte altre stragi, è divenuta sinonimo di “depistaggi”. Come le scorie radioattive, i depistaggi hanno effetti tossici che si protraggono per decenni. Prima di tutto, ergono l’ormai proverbiale “muro di gomma” di reticenze e opacità contro cui rimbalzano gli sforzi di inquirenti e giornalisti d’inchiesta, come il compianto Andrea Purgatori. Al contempo, creano una cortina fumogena, una confusione di piste e versioni alternative dei fatti, spesso mescolando pezzetti di verità a forti dosi di menzogna. Questo non solo impedisce l’accertamento “oltre ogni ragionevole dubbio” dei responsabili di un reato in sede giudiziaria, ma compromette alla radice la possibilità di accertare la verità in modo completo ed esaustivo. Laddove infatti la piena chiarezza su un evento può risultare troppo compromettente per uno o più governi o per istituzioni potenti come le Forze Armate – come nel caso di una strage di civili in uno scenario di guerra non dichiarata – se anche qualcosa fa breccia nel “muro di gomma”, bisogna quanto meno impedire che raggiunga i crismi della certezza. Allora la magistratura, le inchieste, l’opinione pubblica, devono fare una fatica doppia per difendere quanto si è faticosamente acclarato a dispetto dei depistaggi. La ricostruzione storica e giudiziaria del “cielo di guerra” della sera del 27 giugno 1980, in cui il Dc9 fu abbattuto, esclude sia la bomba, sia il “cedimento strutturale”. Ma per quanto solida, persuasiva e ampiamente condivisa, resta comunque sotto alcuni aspetti specifici lacunosa e indiziaria, a causa dei depistaggi, che sono accertati. Ci sarà sempre margine per metterla in dubbio, in buona o in malafede.Allora occorre fare attenzione, perché generici richiami alla “ricerca della verità” possono celare un velenoso scetticismo, e un attacco più o meno velato alle conoscenze faticosamente conquistate.
Ulteriori acquisizioni documentali, magari dall’estero, potranno chiarire in modo definitivo la verità su Ustica? Ogni sforzo in questo senso è auspicabile, ma occorre essere prudenti nelle aspettative e consapevoli delle difficoltà. Il depistaggio infatti si consuma innanzitutto sottraendo o distruggendo quanto può servire alla ricostruzione dei fatti. Accanto alla mancata acquisizione di testimonianze potenzialmente utili e alla morte più o meno sospetta di potenziali testimoni, nel caso di Ustica sono state accertate numerose distruzioni di documenti. Per esempio molte registrazioni dei radar risultano inesistenti o lacunose, mentre l’ammiraglio Martini, ex capo del Sismi, ha parlato in Commissione Stragi di una “ripulitura” dell’archivio del servizio, opera del generale piduista Santovito, per cui non si trovano documenti di particolare rilevanza dell’anno 1980, Ustica inclusa. In generale, gli archivi sono plasmati dall’intenzionalità e dalle esigenze di chi li detiene. Per quanto si lotti per farli diventare strumenti di trasparenza e controllo democratico, spesso restano in primo luogo “arsenali del potere”, un potere che selezionando cosa tenere, cosa distruggere, cosa rendere accessibile, cerca di condizionare la ricostruzione storica, oltre che giudiziaria, nel proprio interesse. Gli archivi militari e d’intelligence, poi, beneficiano di una particolare autonomia di gestione, in ragione di peculiari esigenze di sicurezza. In Italia, per esempio, non hanno l’obbligodi versare all’Archivio centrale dello Stato. Ciò che viene versato in occasione di iniziative speciali, come la “Direttiva Renzi” (che prescriveva alle amministrazioni dello Stato di versare tutti i documenti relativi alle grandi stragi) è comunque selezionato internamente, in autonomia. I dati relativi ai servizi segreti stranieri sono obliterati. L’apposita Commissione chiamata a vigilare sui versamenti della Direttiva ne denuncia da anni le lacune; in molti casi (Ustica inclusa) si è resa disponibile in gran parte documentazione già prodotta nel corso di inchieste giudiziarie e parlamentari. Finora, come spiegava ieri Anais Ginori, la Francia ha inviato agli inquirenti documentazione di scarso rilievo. Possiamo supporre che, oltre ai vincoli formali di segretezza, anche oltralpe la selezione e la gestione dei documenti sia prioritariamente nelle mani di personale militare o d’intelligence. Molto, come da noi, potrebbe essere stato distrutto, e rischia di essere occultato. Per questo Giuliano Amato, come tanti prima di lui, sottolinea la necessità di una forte volontà politica, per ottenere maggiore chiarezza. Ma in Italia i segnali sono preoccupanti. Per esempio, con decreto del maggio 2023, il governo Meloni ha nominato membro della suddetta Commissione di vigilanza Gregory Alegi, fautore della tesi della bomba, che ha scritto con il generale Leonardo Tricarico un libro dal titolo “Ustica un’ingiustizia civile”, secondo cui, scrive un recensore, Purgatori e il suo lavoro sarebbero solo il «mito fondante di tutte le fantasie sulla tragedia di Ustica». In questo clima, la vigilanza dell’opinione pubblica resta centrale. Non abbassiamo la guardia.