ROMA — Sono almeno sei anni che guardandola attraverso la lente degli affitti brevi la cartina dell’Italia sembra un quadro di Seurat: una miriade di puntini colorati e a ogni puntino corrisponde un alloggio messo a rendita per una o due notti su Airbnb in centro città. Da quasi altrettanti anni, tra vani tentativi locali e scarsi aggiustamenti fiscali, si prova a mettere un freno alle locazioni turistiche che spopolano i centri urbani, drogano il mercato immobiliare, sottraggono case ai residenti.
Ora è dai sindaci delle metropoli e delle città d’arte che parte l’ultimo assalto agli affitti brevi: «Serve una legge nazionale», dicono da Venezia a Bologna, da Milano a Napoli. Non per colpire il piccolo proprietario che con l’affitto di un appartamento arrotonda lo stipendio, quanto per arginare i big player che gestiscono decine di alloggi. E non a caso la proposta di questa legge pensata da urbanisti, architetti, associazioni e giuristi della campagna “Alta tensione abitativa” arriva dalla Laguna, rilanciata ieri a Bologna dall’“alleanza municipalista” di 11 città unite in un piano sull’abitare che va dall’edilizia residenziale pubblica alla lotta ai micro-affitti, appunto.
Cosa dice la legge ce lo spiega Giacomo Maria Salerno, ricercatore e attivista di Ocio, Osservatorio civico su casa e residenza: «Abbiamo immaginato una legge quadro che affronta per la prima volta, in linea con le esperienze estere, non la questione fiscale ma quella della residenzialità. Alle singole amministrazioni si lascia il potere di dividere le città in zone e stabilire per ognuna un tetto massimo di affitti brevi autorizzati per 5 anni, evitando che una sola persona ottenga decine di autorizzazioni. Chi invece affitta la propria casa di residenza o la condivide potrà farlo per un massimo di 90 giorni l’anno senza autorizzazioni ». E questo varrebbe per tutti, non solo per chi ha provato, con iniziative locali, a contenere il contagio di Airbnb.
Venezia, ad esempio, già dalla scorsa estate, grazie all’emendamento Pellicani (Pd) al ddl Aiuti, gode di un regime speciale che permetterebbe di stabilire un limite di 120 giorni l’anno per gli affitti brevi. Da allora però poco o nulla è cambiato perché il Comune non ha applicato la norma. E sulla mappa la Venezia insulare è ancora un’unica macchia rossa di puntini. Gli alloggi censiti da Inside Airbnb sono 7.286, 5 mila gestiti da host che ne affittano più d’uno. City apartment, ad esempio,ne ha 112. Il primo nome proprio nella lista dei top host è Andrea: solo lui ne ha 41. Più giù, a Bologna, Filippo Celata, ordinario a Roma, ha calcolato che un alloggio su tre nelle zone più turistiche della città è sulla piattaforma: la percentuale più alta d’Italia. Ecco perché la città delle Due Torri si è fatta capofila della proposta di legge. Dice il sindaco Matteo Lepore: «Il mercato degli affitti brevi è diventato socialmente insostenibile ». A Roma sono più di 24 mila gli appartamenti per turisti, nelle mani di pochi. Milano ne conta quasi 19 mila, mentre per famiglie e studentiRepubblica ha raccontato gli affitti impossibili a 2 mila euro a bilocale e 700 euro per una doppia. «Troppe case vengono tolte a chi qui vuol vivere non solo 5 giorni durante il Salone del Mobile», dice Beppe Sala.
Ora si tratta di vincere la resistenza delle associazioni di categoria, convocate il 23 marzo scorso al ministero del Turismo da Daniela Santanchè e contrarie all’estensione delle restrizioni perché «non utili al Paese » e «in palese violazione della proprietà privata». Sarah Gainsforth, ricercatrice e autrice di Airbnb città merce ,ragiona invece così: «L’impatto diretto delle locazioni brevi si ha sui prezzi con l’aumento dei canoni e la scomparsa di case in affitto ordinario. Un problema che non riguarda solo i ceti poveri, che in massima parte si rivolgono al mercato degli affitti, ma anche i ceti medi. I salari sono fermi e le città rischiano di diventare inabitabili per chi le manda avanti». Nel frattempo i centri storici rischiano di ridursi a parchi a tema con lo stravolgimento del tessuto sociale ed economico. «Il turismo non è un problema in sé, anzi — sottolinea Gainsforth — Lo diventa se è l’unica cultura, l’unica offerta anche di lavoro, un lavoro per di più povero che impiega nella ristorazione e nell’alloggio gli stessi che non riescono poi a trovare casa».
E all’orizzonte si affaccia già un altro spettro: «Contratti di pochi mesi gestiti da grandi agenzie intermediarie che garantiscono una rendita fissa ai proprietari e subaffittano le case gonfiando ancora di più i prezzi ». Un abitare temporaneo, di transito, pronto a riempire di nuovi puntini la mappa.