Il sapore amaro del kiwi
6 Marzo 2023Il Punto 03/03/2023
6 Marzo 2023Piantedosi abbraccia la dimensione gattopardesca delle politiche migratorie italiane degli ultimi anni. Pronuncia parole che fanno rabbrividire ma dice a voce alta quello che molti altri pensano, non solo nel governo
Èpassato qualche giorno dal tragico naufragio di Steccato di Cutro e, mentre il numero delle vittime continua ad aumentare ed emergono testimonianze agghiaccianti relative all’accaduto, si cerca di fare luce su responsabilità operative e politiche nella catena dei soccorsi, nonostante il focus delle indagini rimanga sul reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nel frattempo, si è infiammato il dibattito politico. Artefice di questo incendio è stato il ministro dell’interno Matteo Piantedosi, il quale sembra ritenere principali responsabili del naufragio proprio le persone migranti che si trovavano a bordo dell’imbarcazione: «l’unica cosa che va affermata è che non devono partire. Quando ci sono queste condizioni non devono partire». Lungi dall’essere un lapsus, il concetto è stato ribadito dal ministro nelle ore seguenti, con dei tentativi di spiegazione e contestualizzazione che si sono rivelati piuttosto maldestri.
La colpevolizzazione delle vittime è un fenomeno ampiamente diffuso e conosciuto, e l’ambito delle migrazioni – insieme a quello della violenza di genere, dove la logica del «se l’è cercata» è all’ordine del giorno – è uno di quelli in cui trova spazio con maggiore frequenza. La sconcertante visione, ribadita dal ministro Piantedosi in queste ore, secondo cui «la disperazione […] non può mai giustificare […] condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli» è tema ricorrente nel dibattito politico, tanto da aver condotto a campagne e azioni di risposta in difesa di questi genitori considerati degeneri. Altro caso classico, sempre più diffuso, è la criminalizzazione delle persone migranti accusate di essere scafisti: tutte strategie utili per spostare l’attenzione dai veri colpevoli e dalle diffuse responsabilità per delle morti assolutamente evitabili, riconducibili alle politiche dell’ormai famigerata Europa fortezza.
Ha scritto l’Ong Mediterranea, a distanza di poche ore dal naufragio: «chi propaganda i confini chiusi adesso chiuda la bocca», ma purtroppo così non è stato. Salvo le rare eccezioni di chi, da anni, si batte per il superamento di questo approccio alle migrazioni, il panorama politico-istituzionale europeo e italiano ha offerto le solite lacrime di coccodrillo di chi nega canali legali di ingresso, sostiene i respingimenti, boicotta le missioni di soccorso e poi si indigna e si strazia davanti a queste «tragedie» (come hanno ricordato da più parti in queste ore, i terremoti sono tragedie, queste sono vergogne).
In questo contesto desolante, la disumanità delle parole del ministro Piantedosi è tale da riuscire a mettere in secondo piano l’ipocrisia di tante e tanti altri. In realtà, fin dal suo insediamento, il ministro Piantedosi è parso oscillare costantemente nella gestione del fenomeno migratorio tra il sottile e discreto cinismo, lontano dai riflettori, dell’uomo di stato con una carriera ai vertici del ministero dell’interno, e l’ostentata propaganda militante anti-migranti della peggiore destra, con parole e azioni eclatanti. Un ministro che, pochi giorni dopo il suo insediamento, si cimentava in un braccio di ferro con varie Ong al porto di Catania (perdendo poi su tutta la linea, da quella operativa a quella giudiziaria), usando quella sprezzante violenza verbale del «carico residuale», salvo poi essere l’artefice di una chirurgica linea di criminalizzazione e ostacolo al lavoro delle Ong, non urlata, quasi dissimulata, incentrata sull’assegnazione di un porto di sbarco estremamente lontano, sul divieto di soccorsi multipli e su sanzioni amministrative.
Con le sue oscillazioni, Piantedosi sembra abbracciare a tutto campo la dimensione gattopardesca delle politiche migratorie italiane degli ultimi anni, con cambiamenti di stile, di strategia, ma con una inalterata continuità. Se si adotta questa chiave di lettura, appare chiaro che, quando Piantedosi pronuncia queste parole che fanno rabbrividire e indignare, per certi versi non fa altro che dire a voce alta quello che molte e molti altri pensano, non solo nel governo di cui fa parte, ma anche tra le fila di chi oggi lo attacca frontalmente o prende le distanze. Se, da anni, Unione europea e Italia continuano a negare canali sicuri di accesso, corridoi umanitari e missioni di ricerca e soccorso, se criminalizzano e ostacolano – salvo rare eccezioni – il lavoro sostitutivo compiuto in questo senso dalle Ong, se militarizzano le frontiere e ne esternalizzano il controllo, stringendo accordi con paesi terzi in spregio dei più basilari diritti umani, cosa stanno facendo se non dire che «l’unica cosa che va affermata è che non devono partire»?
È questa la colpa, imperdonabile, di chi si trovava sull’imbarcazione naufragata davanti alle coste calabresi. L’essere partiti, l’essere naufragati, l’avere scosso, almeno per qualche istante, le coscienze di un’opinione pubblica fin troppo abituata a pensare a morti e dispersi in mare come numeri, e avere così svelato, come il bambino di Andersen, il vero volto delle politiche europee. In fondo, è adottando questa prospettiva che si comprende anche l’ossessione anti-Ong dei governi italiani (ed europei, sempre al netto di qualche eccezione): quello che non può essere perdonato alle organizzazioni della flotta civile non è il salvare vite, bensì il fatto di rendere visibile ciò che dovrebbe restare nascosto dietro una cortina fumogena. Ed ecco perché, da anni, le missioni governative in mare non hanno veri obiettivi di ricerca e soccorso, in acque internazionali, ma di semplice controllo dei confini – in alto mare meglio fare intervenire la cosiddetta guardia costiera libica, tra gli altri, e riportare le persone migranti nei centri libici, lontane dai nostri occhi. Non a caso, quando si parla di migrazione, si parla solo delle rotte visibili, quelle dove c’è qualcuno o qualcuna a testimoniare ciò che accade, a intervenire, a raccontarlo. Delle altre si può tranquillamente non parlare – salvo che in circostanze eclatanti, come nel caso di questo naufragio, che ha riacceso i riflettori sulla rotta del Mediterraneo sudorientale.
Le parole pronunciate da Piantedosi sono terribili. Ciò che è peggio è che costituiscono anche la base concettuale, talora ammantata di finto umanitarismo, su cui sono state costruite le politiche delle migrazioni italiane ed europee degli ultimi anni, ancora più disgustose e spaventose delle brutali parole del ministro.
*Federico Alagna si occupa di ricerca sulle politiche migratorie europee ed è attivo in vari contesti di impegno politico e sociale, in particolare sul fronte del diritto alla città e delle migrazioni, in Italia e all’estero. Fa parte del movimento Cambiamo Messina dal Basso e di Mediterranea – Saving Humans ed è stato assessore alla cultura di Messina tra il 2017 e il 2018.