Migranti, le norme straordinarie non cambieranno nulla
19 Settembre 2023Le pene si fanno più severe e la popolazione detenuta invecchia
19 Settembre 2023
F. Gonin, Renzo e l’Azzecca-garbugli
Le “gride” erano i provvedimenti di legge che il governo del Ducato di Milano emanava nel XVII secolo e venivano chiamate così per l’uso da parte dei banditori di gridarle, appunto, sulla pubblica piazza (gran parte della popolazione era infatti analfabeta, anche se una copia di queste leggi veniva affissa nelle strade ed esibita all’occorrenza). L’autore sottolinea nel cap. I l’assoluta inutilità di questi provvedimenti, che “diluviavano” (erano cioè numerosissimi) e minacciavano pene e castighi assai severi, che naturalmente non venivano mai applicati a causa dell’inefficienza e della corruzione del sistema giudiziario: ne è una prova la sfilza interminabile delle gride che Manzoni cita nel cap. iniziale del romanzo, per dimostrare che i bravi prosperavano ed erano impuniti, nonostante fossero minacciati di essere incarcerati, posti alla tortura o peggio ad arbitrio del giudice (addirittura si proibiva a chiunque di portare il “ciuffo” come segno distintivo dell’essere un bravo e si minacciavano pene ai barbieri che tagliassero i capelli in quel modo, come citato dall’autore nel cap. III). Fu proprio la lettura di una grida, quella datata 15 ottobre 1627 in cui si contemplava il reato di minacce a un curato per non celebrare un matrimonio, che diede a Manzoni l’idea per la trama del romanzo: questa legge compare nell’episodio di Renzo allo studio del dottor Azzecca-garbugli (cap. III), in cui l’avvocato scambia il giovane per un bravo e gli mostra la grida per fargli paura, per fargli credere che è in un brutto guaio e gli servirà il suo aiuto per uscirne. Il dottore dice che la grida è “fresca”, cioè recente, e quindi di “quelle che fanno più paura”, in quanto il gran numero delle leggi toglieva a queste l’efficacia; spiega a Renzo che lui saprà imbrogliare le carte e farlo assolvere dall’accusa, invocando la protezione di personaggi potenti e minacciando le persone coinvolte, in quanto “a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, nessuno è innocente” (dunque la giustizia non è certo assicurata da questi provvedimenti che, oltre ad essere inefficaci, sono passibili di controverse interpretazioni).
Di un’altra grida si parla anche nel cap. XIV, quando Renzo e il poliziotto travestito sono all’osteria della Luna Piena, a Milano: l’oste, che ha riconosciuto il poliziotto, vuole mostrarsi ligio alla legge e mostra al giovane la grida che gli impone di registrare nome e cognome di chi viene ospitato nella locanda, suscitando le rimostranze di Renzo che si rammenta di quanto poco aiuto gli avesse offerto la grida mostratagli dall’avvocato. Il giovane fa osservazioni ironiche sullo stemma di don Gonzalo de Cordova (il governatore di Milano) che campeggia sul documento e conclude con amaro sarcasmo che “comanda chi può, e ubbidisce chi vuole”, mentre poco dopo anche gli altri avventori dell’osteria si uniscono a lui nel dire che le leggi “son tutte angherie, trappole, impicci”. L’idea di Renzo è che la parola scritta, specie per chi come lui è semi-analfabeta e non in grado di leggere facilmente, diventa un strumento nelle mani dei potenti per esercitare soprusi e angherie sui più deboli, mentre a lui povero contadino la giustizia non è stata minimamente assicurata dall’apparato legislativo.
L’inutilità delle gride verrà ulteriormente ribadita dall’autore nel cap. XXVIII, quando viene descritta la situazione a Milano seguente alla rivolta per il pane del giorno di S. Martino: il prezzo del pane è nuovamente calato in seguito a un provvedimento di legge, cosa di cui approfittano i milanesi per acquistarne in gran quantità, situazione che ovviamente non può durare a lungo a causa della penuria di grano. Il 15 novembre viene dunque emanata una grida, a firma del gran cancelliere Antonio Ferrer, che proibisce di comprare pane in eccesso sotto minaccia di severissime pene e impone nondimeno ai fornai di continuare a produrne, il che suscita l’ironia dell’autore secondo il quale “Chi sa immaginarsi una tale grida eseguita, deve avere una bella immaginazione; e certo, se tutte quelle che si pubblicavano in quel tempo erano eseguite, il ducato di Milano doveva avere almeno tanta gente in mare, quanta ne possa avere ora la Gran Bretagna” (l’allusione è alla pena della galera, ovvero l’arruolamento dei condannati come forzati sulle navi da guerra). In seguito viene deciso di aggiungere il riso nel composto del pane e se ne fissa con una nuova grida un prezzo ridicolmente basso, il che spinge anche gli abitanti del contado a venire a comprarlo in città; per arginare il fenomeno, viene emanata l’ennesima grida che proibisce di portare il pane fuori dalla città, per cui l’autore osserva che “La moltitudine aveva voluto far nascere l’abbondanza col saccheggio e con l’incendio; il governo voleva mantenerla con la galera e con la corda”. Il risultato di tutto ciò è che il grano ben presto si esaurisce e si scatena una terribile carestia, che sarà poi una delle concause del diffondersi della peste nel 1630 (Manzoni riferisce di non aver trovato traccia delle gride che ponevano fine alle tariffe calmierate del pane).
È interessante infine ricordare che l’espressione “gride manzoniane” è passata in proverbio a indicare provvedimenti di legge inefficaci, che minacciano pene roboanti senza trovare poi una concreta applicazione da parte dello Stato o della giustizia.
Di un’altra grida si parla anche nel cap. XIV, quando Renzo e il poliziotto travestito sono all’osteria della Luna Piena, a Milano: l’oste, che ha riconosciuto il poliziotto, vuole mostrarsi ligio alla legge e mostra al giovane la grida che gli impone di registrare nome e cognome di chi viene ospitato nella locanda, suscitando le rimostranze di Renzo che si rammenta di quanto poco aiuto gli avesse offerto la grida mostratagli dall’avvocato. Il giovane fa osservazioni ironiche sullo stemma di don Gonzalo de Cordova (il governatore di Milano) che campeggia sul documento e conclude con amaro sarcasmo che “comanda chi può, e ubbidisce chi vuole”, mentre poco dopo anche gli altri avventori dell’osteria si uniscono a lui nel dire che le leggi “son tutte angherie, trappole, impicci”. L’idea di Renzo è che la parola scritta, specie per chi come lui è semi-analfabeta e non in grado di leggere facilmente, diventa un strumento nelle mani dei potenti per esercitare soprusi e angherie sui più deboli, mentre a lui povero contadino la giustizia non è stata minimamente assicurata dall’apparato legislativo.
L’inutilità delle gride verrà ulteriormente ribadita dall’autore nel cap. XXVIII, quando viene descritta la situazione a Milano seguente alla rivolta per il pane del giorno di S. Martino: il prezzo del pane è nuovamente calato in seguito a un provvedimento di legge, cosa di cui approfittano i milanesi per acquistarne in gran quantità, situazione che ovviamente non può durare a lungo a causa della penuria di grano. Il 15 novembre viene dunque emanata una grida, a firma del gran cancelliere Antonio Ferrer, che proibisce di comprare pane in eccesso sotto minaccia di severissime pene e impone nondimeno ai fornai di continuare a produrne, il che suscita l’ironia dell’autore secondo il quale “Chi sa immaginarsi una tale grida eseguita, deve avere una bella immaginazione; e certo, se tutte quelle che si pubblicavano in quel tempo erano eseguite, il ducato di Milano doveva avere almeno tanta gente in mare, quanta ne possa avere ora la Gran Bretagna” (l’allusione è alla pena della galera, ovvero l’arruolamento dei condannati come forzati sulle navi da guerra). In seguito viene deciso di aggiungere il riso nel composto del pane e se ne fissa con una nuova grida un prezzo ridicolmente basso, il che spinge anche gli abitanti del contado a venire a comprarlo in città; per arginare il fenomeno, viene emanata l’ennesima grida che proibisce di portare il pane fuori dalla città, per cui l’autore osserva che “La moltitudine aveva voluto far nascere l’abbondanza col saccheggio e con l’incendio; il governo voleva mantenerla con la galera e con la corda”. Il risultato di tutto ciò è che il grano ben presto si esaurisce e si scatena una terribile carestia, che sarà poi una delle concause del diffondersi della peste nel 1630 (Manzoni riferisce di non aver trovato traccia delle gride che ponevano fine alle tariffe calmierate del pane).
È interessante infine ricordare che l’espressione “gride manzoniane” è passata in proverbio a indicare provvedimenti di legge inefficaci, che minacciano pene roboanti senza trovare poi una concreta applicazione da parte dello Stato o della giustizia.