Continuiamo a uccidere operai. Come è successo a Bologna. E ne feriamo uno al minuto, circa duemila al giorno, cui va aggiunto il numero oscuro degli incidenti non denunciati, per paura di ritorsioni del datore di lavoro o semplicemente perché si lavora in nero. Ogni giorno la vita di migliaia di famiglie, coniugi, figli, genitori, è stravolta per sempre.
Se il lavoro uccide cinque volte più della mafia, venticinque volte più dei femminicidi, non basta dare la colpa riduttivamente al profitto. Si muore anche per l’inerzia delle istituzioni.
Il Parlamento in questa legislatura non ha mai calendarizzato le proposte di legge sulla procura distrettuale e nazionale del lavoro, evidentemente non si vuole nemmeno discutere di provvedimenti che consentirebbero di aggredire con pm specializzati l’illegalità del lavoro: infortuni, malattie professionali, inquinamento da amianto, truffe previdenziali, caporalato, sfruttamento dei lavoratori italiani e immigrati, e tutto il lavoro nero, pari a circa 70 su 189 miliardi di euro all’anno di economia sommersa, secondo l’ultimo report dell’Istat.
Lavoro nero ed evasione fiscale sono due facce della stessa medaglia, non si può contrastare il primo condonando la seconda. Questo Parlamento ha varato il reato di omicidio nautico (in ragione di un solo incidente su lago di Garda) e persino quello di orsicidio per l’uccisione dell’orso marsicano, ma non vuole discutere dell’omicidio sul lavoro.
Nel governo il ministro Nordio non si pronuncia, finora ha solo istituito una commissione consultiva; il ministro dell’Interno non ha una strategia specifica contro il caporalato; la ministra Calderone ha diffuso per mesi l’idea di incorporare l’Ispettorato nazionale del lavoro all’interno del suo ministero, per poi ritrattare clamorosamente nello stesso giorno in cui il sottosegretario Durigon diceva che era un’invenzione giornalistica.
Dopo la strage di Brandizzo: nulla. Dopo quella di Firenze l’alambicco governativo distilla la patente apunti ma soltanto per l’edilizia, non per gli altri settori: semplicemente un atto notorio con cui soprattutto le piccole e medie imprese attestano di essere in regola con tre obblighi già noti dal settembre 1994. Se l’Ispettorato del lavoro dovesse controllare la veridicità delle autocertificazioni impiegherebbe circa dodici anni.
Dopo le stragi di Suviana e di Casteldaccia, il genio ministeriale partorisce un decreto che alza il punteggio consentendo che soltanto se si uccidono almeno quattro operai in tempi diversi si rischia la revoca della patente e comunque dopo che arriveranno le relative sentenze definitive, quindi tra qualche anno. Sicurezza di carta. Inutile per chi lavora e dannosa per le pmi che stanno sborsando complessivamente oltre 160 milioni di euro. I consulenti ringraziano.
Nel frattempo, con due diversi provvedimenti legislativi si dispone che prima di qualsiasi controllo, le aziende devono essere avvisate “almeno dieci giorni prima” dagli ispettori i quali, se trovano una qualsiasi violazione, concedono venti giorni per regolarizzare senza pagare alcuna sanzione. E per dieci mesi nessun’altra ispezione potrà esserci in quell’azienda. In breve, più immunità per tutti. Con buona pace delle imprese corrette che subiscono la concorrenza sleale di chi non rispetta le regole. Si muore di lavoro anche per la vuota retorica di chi non ha idee per fronteggiare la più grande tragedia civile.