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13 Luglio 2024Ritratti di donne Mary Berenson ai Tatti, la principessa Ghika e Florence Blood alla Villa Gamberaia e poi Nina Auzias e Leo Stein da Montparnasse a Settignano: storie, pettegolezzi, intrighi e amori
di Luca Scarlini
Una nuova collezione di libretti assai ben realizzati dal CentroDi con il titolo Our Hillside s, pubblicati in lingua inglese, narra le vicende di celebri donne che hanno scelto di vivere nelle colline sopra Firenze, spesso collegate tra loro dalla passione per l’arte o per i giardini. Le prime quattro monografie raccontano tra l’altro Mary Berenson, la signora dei Tatti, traendo il titolo dalla rivista autoprodotta realizzata con il fratello, The Golden Urn e Vernon Lee, definita «la sibilla del Palmerino», dove una associazione da anni illustra la sua memoria con convegni e azioni artistiche. Di particolare interesse sono i profili della Principessa Ghika e di Florence Blood alla Villa Gamberaia (firmato da Patricia Osmond) e di Nina Auzias e Leo Stein da Montparnasse a Settignano (opera di Alessandra Marchetti, Patricia Osmond, con Michela Amedei).
Catherine Ghika era figlia di due stirpi orientali: per famiglia aveva ascendenti in Moldavia e in Bessarabia, da cui proveniva il padre, generale dell’armata dello Zar. La mondanità cittadina era incuriosita e imbarazzata allo stesso tempo dalla scelta della donna di ritirarsi in una atmosfera conventuale, che le guadagnò la reputazione di «dame su silence» (così scriveva Madame de Montebello all’onnipresente Carlo Placci). I Berenson visitarono in più occasioni questo luogo alla fine dell’800, riportando, nelle lettere e nei diari, l’impressione per un luogo di grande bellezza, segnato da una precisa atmosfera meditativa. Bernard la definì, in una lettera a Ned Boyce: «Una orientale nei modi e negli abiti». Una foto di inizio ‘900, all’inizio del volume la raffigura con un abito di foggia rumena e con il velo in testa. Con lei abitava (e così fu per trent’anni) Florence Blood, pittrice, che rappresentò infinite volte il parterre d’eau progettato dall’amica. Le malelingue parlavano di una relazione d’amore, ma sembra invece che le signore abbiano condiviso una amicizia di lunga durata, in cui ognuna aveva ampio spazio per praticare le proprie passioni. Florence aveva opinioni precise sull’arte e non esitava a affermarle: in una occasione offese il pittore William Rothenstein, che lavorava a un ritratto di Berenson, spiegandogli come avrebbe dovuto dipingerlo. Nelle numerose visite ai musei cittadini era nota per esprimere reazioni assai forti alle opere: in un caso perse i sensi davanti alla visione della mirabile Battaglia di nudi del Pollaiolo. L’atmosfera non poteva essere più diversa nella vicina Villa Doccia, poco sopra la Gamberaia. In una lettera del 1914 Leo Stein descriveva l’atmosfera del luogo, per lui meravigliosa alla sua amante, Nina Auzias, conosciuta a Parigi come «Nina de Montparnasse». Lei, che lo chiamava affettuosamente Steiney, lo aveva conosciuto nel 1905 al Dôme, in seguito era nata una relazione, in cui spesso aveva posato per il pennello del compagno. Era fuggita di casa da ragazza da Gap nelle Hautes Alpes, cercando una carriera come chanteuse che non si era manifestata. Si era quindi dedicata a mille mestieri, inclusa la prostituzione, affermando sempre una sua personale filosofia del libero amore. Questo fu il primo motivo della violenza, e mai ricomposta separazione, di Gertrude e Leo Stein, che avevano vissuto dieci insieme anni in rue de Fleurus ed avevano iniziato in comune la loro celebre collezione di arte contemporanea, seguendo il modello della raccolta di Charles Loeser, conosciuto nella loro permanenza giovanile in collina, e ammirato per la sua famosa (e poi dispersa) selezione di opere di Cézanne. Nella loro dimora c’erano opere di Renoir, Cézanne, Picasso, che Leo vendette, una dopo l’altra, negli anni per mantenere un tenore di vita che altrimenti non avrebbe potuto permettersi. Tra il 1915 e il 1920 i due furono tra l’Italia, gli Stati Uniti e Parigi, nel 1921 quando avvenne il matrimonio a Palazzo Vecchio, si trasferirono al Villino Rosa, che avevano comprato da Florence Blood, in via del Crocifissalto, vicino alla precedente dimora.
Nina e Steiney stavano a Settignano soprattutto d’estate: i loro migliori amici erano Ned e Peggy Bruce. Li aiutarono ad affittare la casa, quando tornarono a Washington e la gestirono per loro. Là vicino abitava Egisto Fabbri, altro collezionista determinante per Cézanne, di cui Florence Blood aveva copiato così bene un’opera da ingannare l’espertissimo Loeser. Il tempo di guerra per i due fu amaro, dovendo fronteggiare la continua mancanza di cibo. Gli amici li soccorsero con invio di cibo e delle batterie necessarie per l’apparecchio acustico di Leo; Nina era assai malandata per l’artrite, ma riuscì ad assistere al meglio il suo amore, che morì nel 1947. Quell’anno uscì il suo libro più fortunato, Appreciation , in cui riassumeva le sue visioni dell’arte e della letteratura. Nina, scomparve due anni più tardi, nel 1949. Fece in tempo a vedere una mostra delle opere pittoriche di Steiney alla Società Leonardo da Vinci nel 1947: l’esposizione era curata da Alessandro Bonsanti e Arturo Loria.
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