«Progressisti» senza diritti civili
26 Agosto 2022Assalto all’Italia, 39 miliardi di scommesse al ribasso
26 Agosto 2022
di Maurizio Ferrera
Governare significa risolvere i problemi collettivi ma anche organizzare il consenso. Nelle campagne elettorali vi è sempre una escalation di promesse per attrarre voti. È però cruciale che queste non oltrepassino la soglia della irresponsabilità, soprattutto in termini fiscali. Qualcuno forse ricorderà le rincorse al rialzo fra i partiti della Prima Repubblica, specialmente sul terreno previdenziale e tributario. Il nostro colossale debito pubblico affonda le sue radici proprio in quelle rincorse, che fecero lievitare la spesa pubblica e mantennero a lungo molto bassa la pressione fiscale. Rispetto a quella fase storica, le scelte dei partiti incontrano adesso, per fortuna, alcuni vincoli istituzionali interni ed europei. Sono però subentrate nuove dinamiche nella sfera comunicativa che premono di nuovo in direzione contraria.
La sostenibilità di una proposta elettorale si può valutare solo all’interno di un programma articolato. Oggi è però diventato molto difficile per i partiti trasmettere agli elettori un’immagine chiara del proprio programma, della propria «visione» del futuro. La televisione, internet e i social media hanno provocato una esplosione informativa che avvolge i cittadini in una nuvola di notizie, interpretazioni, storie.
Quasi due terzi degli italiani che s’interessano di politica formano i propri orientamenti all’interno di questa nuvola, in base a stimoli erratici e casuali. Ai programmi e mezzi di informazione di qualità si rivolge una percentuale di cittadini lontana dalla maggioranza.
Nella nuvola della rete si perde la distinzione tra vero e falso e le informazioni sono trasmesse con toni e linguaggi volti a suscitare sentimenti forti, sulla base di episodi e dichiarazioni a effetto, scambi e polemiche contingenti, spesso su temi effimeri. La rabbia, il «disgusto» e la disaffezione che sempre più elettori provano per la politica, rifugiandosi nell’astensionismo, sono anche figli di queste dinamiche.
La rete intermedia ormai tutte le nostre scelte, ma con intensità diversa. Se vogliamo fare un viaggio, cominciamo da internet e i social, ma facciamo poi uno sforzo per verificare le informazioni. Quando s’interrogano su chi votare, la maggioranza degli elettori dovrebbe fare lo stesso sforzo, ma diventa sempre più raro. E siccome, senza verifiche e valutazioni ragionate, le notizie della nuvola producono immagini deformate e disorientano, alla fine non si vota, o si vota in base a impressioni dell’ultimo momento.
I nuovi flussi comunicativi sono pressoché impossibili da filtrare, men che meno controllare. Perciò i leader non possono fare a meno di essere presenti, nel tentativo di bucare l’attenzione. Si alimenta così una specie di «luna park» informativo, in cui ciascun elettore si costruisce la propria narrazione della realtà, scegliendo fra i tanti e disparati spunti che attraggono la sua attenzione. Nella campagna elettorale del 2020 Trump spese quasi 60 milioni di dollari su Facebook, dieci milioni più di Biden. I nostri politici non spendono ovviamente così tanto. Secondo la libreria delle inserzioni, il più attivo è di gran lunga Matteo Salvini.
C’è qualcosa che possiamo fare per aiutare gli elettori a scegliere con criterio? Oltre a consigliare di rivolgersi ai mezzi di informazione di qualità, ben poco può essere fatto per quanto riguarda la campagna elettorale in corso. Possiamo però interrogarci sui possibili correttivi per il medio-lungo periodo.
In un recente libro( The Paradox of Democracy , discusso da Gustavo Ghedini e Daniele Manca sul Corriere del 23 agosto), i sociologi Zac Gershberg e Sean Illing ricordano che sin dai tempi di Atene classica la democrazia è stata esposta al rischio di degenerazioni comunicative, proprio in quanto imperniata sul libero dibattito. Contro il potere dei sofisti, Platone propose il governo dei filosofi (ossia i sapienti). La soluzione tecnocratica è oggi raccomandata da qualche studioso. Secondo il filosofo americano Jason Brennan, ad esempio, chi si candida alle cariche elettive dovrebbe passare un test di competenza. I criteri di valutazione dovrebbero essere definiti dagli elettori, in base a proposte elaborate dei partiti. Molti (compresi Gerschberg e Illing) propongono di ridare slancio alla democrazia locale, dove l’interazione offline è più facile e le decisioni politiche toccano gli elettori da vicino: scatterebbe così l’incentivo a verificare le informazioni anche nelle scelte politiche.
La democrazia non sopravvive senza partecipazione, ma non può funzionare senza una comunicazione politica veridica, ospitale di scambi pacati fra chi aspira al potere e i cittadini. Per promuovere questo tipo di comunicazione occorre un lavoro paziente di «coltivazione» culturale. Da parte delle istituzioni, soprattutto la scuola, ma anche da parte di tutti quei settori del mondo dell’informazione che non si sono ancora arresi alla logica del luna park.