Il Punto 07/10/2022
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10 Ottobre 2022di Angelo Panebianco
Stanchezza e assuefazione dopo mesi e mesi di guerra, soprattutto paura. Paura per i rincari energetici, per l’inflazione e per il loro impatto negativo sulla vita delle nostre famiglie. E la paura più grande di tutte, quella di cui si bisbiglia a bassa voce facendo gli scongiuri: la paura che il tiranno che siede al Cremlino reagisca alle sconfitte sul campo ricorrendo all’arma nucleare e scatenando così l’Apocalisse. È innegabile che questi sentimenti siano diffusi nelle opinioni pubbliche europee. Ed è questa l’unica vera carta ancora in mano a Putin. Talvolta gli sconfitti sul campo, battuti sul piano militare, risultano alla fine vincenti sul tavolo della politica. Come diceva Clausewitz, nelle guerre non contano solo i mezzi di cui si dispone, la maggiore o minore sagacia dei capi politici e le strategie messe in campo dai comandanti militari. Contano anche le “passioni” dei popoli. In questo gioco triangolare che è la guerra in Ucraina sono ovviamente presenti, prima di tutto, le passioni degli ucraini e dei russi. C’è la compatta volontà degli ucraini (soldati e popolazione civile) di difendere casa propria. E c’è per contro l’assenza di motivazioni e il basso morale dei soldati dell’esercito invasore.
Nonché un’opinione pubblica russa che dopo l’iniziale adesione, a schiacciante maggioranza, alla guerra di Putin è probabilmente ora assai più divisa di prima (anche se i sondaggi che si tengono in Russia hanno zero attendibilità). M a oltre agli orientamenti di ucraini e russi, contano quelli delle opinioni pubbliche occidentali. Negli appelli alla pace che risuonano in Europa c’è molta ambiguità. Per non dire ipocrisia. Chi sarebbe così pazzo da non volere la pace? E tuttavia, non si può invocare la pace senza indirizzare l’invito solo a colui che la guerra ha voluto e scatenato, ossia Vladimir Putin. È lui, e solo lui, che deve decidere se è ormai stanco della guerra e se è disposto ora a ritirarsi. Chi invoca la pace non può fingere di ignorare che i civili uccisi e i territori bombardati o occupati sono solo ucraini, non russi.
Durante la campagna elettorale ho sentito un candidato, non importa di quale partito (comunque non dei 5 Stelle o della Lega, considerati, a torto o a ragione, i più attenti alle «ragioni» di Putin), dichiarare che, nella guerra in Ucraina, gli europei dovrebbero prendere le distanze dai «falchi» americani e impegnarsi per favorire la pace. Non ha aggiunto «sulla testa degli ucraini» ma era sottinteso.
Si prepara in Italia una manifestazione «per la pace». Ottimo e abbondante. Si spera però che la pace, in quella manifestazione, venga chiesta non «alle due parti», alle vittime come ai carnefici, ma solo a questi ultimi. Coloro che si apprestano a parteciparvi dovrebbero farsi un piccolo esame di coscienza: dovrebbero chiedersi cosa penserebbero, quali sarebbero i loro sentimenti, se i loro genitori, i loro figli o qualche loro caro amico fossero stati appena uccisi da un esercito invasore, le loro case distrutte, le loro vite totalmente sconvolte.
Le tirannie si nutrono di paura. Vivono di intimidazioni. C’è sempre una componente sado-masochistica nella relazione fra il tiranno e coloro che ne subiscono il fascino. Non si spiegano altrimenti le diffuse simpatie di cui Hitler godeva in Europa alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Così come non si spiega altrimenti — anti-americanismo a parte — il putinismo di casa nostra, il favore che a Putin riserva, stando ai sondaggi, una consistente minoranza europeo-occidentale.
Si dice: le democrazie sono più forti delle tirannie. In linea di principio è vero ma ciò non significa che le tirannie siano già battute in partenza. Esse prevalgono se riescono a sfruttare le divisioni e la demoralizzazione del campo avversario.
La propaganda pro-Putin in Europa sta diventando più subdola, un po’ meno aperta e sguaiata di quella che circolava nei primi mesi della guerra. Ma non per questo è meno pericolosa. La partita è ancora in corso: se alla fine l’Europa non sarà capace di affrontare con provvedimenti efficaci il caro energia e se, per conseguenza, si aggraverà la situazione economica dei Paesi europei, allora anche gli atteggiamenti sulla guerra potrebbero mutare. L’Europa potrebbe dividersi sulle sanzioni nonché sull’invio di armi agli ucraini. Se il fronte compatto pro-Ucraina che l’Occidente ha mostrato fino ad oggi si sfaldasse o cominciasse a mostrare vistose crepe (occhio alla Germania: da lì potrebbero venire, prima o poi, delle sorprese), allora la scommessa di Putin risulterebbe vincente. Verrebbe dimostrato che egli aveva ragione: le democrazie occidentali sono troppo deboli, troppo immemori di sé e delle proprie buone ragioni per potere resistere alla pressione delle potenze autocratiche.
Con due possibili conseguenze. La prima sarebbe quella di rendere più, non meno probabile, lo scoppio della Terza guerra mondiale. Una Russia in gravi difficoltà militari, colpita nel suo «amor proprio» e nel suo prestigio di grande potenza imperiale, potrebbe tuttavia proclamarsi vincente sul terreno politico se venisse meno il sostegno di una parte consistente del mondo occidentale agli ucraini. Non si ritirerebbe dall’Ucraina, sarebbe fortemente tentata di coinvolgere la Nato nel conflitto.
Ma anche lasciando da parte la possibilità che si arrivi a un conflitto generale, le divisioni dell’Europa, la sua eventuale incapacità di mantenere a lungo un fronte compatto contro Putin e la sua guerra di invasione, avrebbero conseguenze pesantissime. Segnerebbero la fine, oltre che della solidarietà atlantica, anche dell’europeismo, della speranza che l’integrazione europea possa un giorno fare dell’Europa un soggetto politico attivo e capace di difendere se stesso, i propri interessi, le proprie buone ragioni. Continuerebbero a esistere il mercato comune e la moneta, l’interdipendenza economica fra i Paesi europei — che conviene a tutti — non si allenterebbe. Ma l’Europa avrebbe per sempre rinunciato ad avere un ruolo politico. E quando ciò avviene, si diventa terra di conquista, una preda ricca e indifesa alla mercé di affamati predatori. Che non mancherebbero, prima o poi, di farsi vivi.