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Fra i massimi ispiratori del pensiero moderno, Erasmo da Rotterdam (1466-1536), filologo e umanista olandese, autore del celebre Elogio della follia, è al centro di una rappresentazione ideata e diretta dal giovane Giovanni Ortoleva, classe 1991, e scritto da Riccardo Favaro. Splendore e caduta di Erasmo da Rotterdam (con molte controverse vicende legate alla sua natura pacifica e tollerante) sarà in scena il 17 e 18 settembre nell’Aula Magna dell’Università di Torino (dove il filologo amante della cultura, degli studi, dei libri, si laureò in teologia nel 1506), in occasione dei 620 anni della fondazione dell’ateneo.
Nell’Europa del Sedicesimo secolo squassata dalle guerre di religione, Erasmo, «uomo del silenzio e dello studio indefesso, amante della poesia e della filosofia, dei libri e delle opere d’arte», «il primo europeo cosciente, il primo bellicoso amico della pace… che odiò tutti gli ostinati e gli unilaterali» — così lo descrive Stefan Zweig nel suo Vita di Erasmo da Rotterdam (Bompiani) —, rappresenta la Ragione, la libertà del pensiero, la rivendicazione di una cultura aperta al dialogo. Inevitabile lo scontro con il fanatismo del suo antagonista naturale, il rivoluzionario Martin Lutero (1483-1546), contro cui compose, nel 1524, De libero arbitrio. «Erasmo è sempre stato, per scelta, in mezzo — riflette Ortoleva —. Tra il furore partigiano del teologo di Eisleben e la repressione della Chiesa, ha sempre deciso di non piegare il proprio pensiero alle tesi di chi gli stava intorno. Forse il fascino della sua figura sta proprio nella postura oraziana con cui guardava ai conflitti del suo tempo. La continua ricerca di una terza via, di un cammino maestro che unisca, non può che parlare allo spettatore di un’epoca come la nostra, in cui la polarizzazione delle opinioni ha finito per erodere il terreno di confronto. Questo progetto nasce per mettere la posizione di Erasmo, radicalmente ambigua, laterale, sconfitta dalla storia, al centro della riflessione. Senza farne un santino ma per indagare, e quindi porre in dubbio, la sua sacralità».
La scelta del teatro come mezzo con cui raccontare Erasmo nasce, sottolinea il regista, «dal bisogno di dialogare con lo studioso senza rivolgersi a lui come a una figurina da enciclopedia ma ponendolo al centro di una riflessione in mezzo a noi. Nell’Aula Magna dell’università il pensiero di Erasmo prenderà di nuovo corpo, interrogando gli spettatori di oggi su come la sua visione del mondo riverberi sulla contemporaneità».
Lo spettacolo «gioca» molto sulla dimensione del processo, sottolinea Ortoleva, «tutto quello che faremo vedere in scena è ispirato alla realtà ma non è reale: Erasmo non ha mai scritto niente su di sé: gli incontri di cui si parla, da quello col pittore Albrecht Dürer allo scrittore Thomas More — ma compaiono anche Nietzsche, Goethe e l’architetto del Führer Albert Speer —, sono “virtuali”, avvenuti solo tramite lettera. Lo studioso era un cristiano che non amava gli altri, una delle sue molte contraddizioni. Anche l’incontro con il grande seguace e avversario, Lutero, dal cui estremismo lo studioso prenderà le distanze, non è mai avvenuto nella realtà». Il teologo di Eisleben è anch’egli un personaggio ambiguo, «che lo spettacolo prova a “squadernare”: se da un lato c’è l’estasi che Lutero insegue attraverso l’azione, un aspetto di assoluto fascino, dall’altro c’è una figura descritta come repellente, la cui progenie è il fanatismo, il mondo in cui viviamo oggi, la violenza e l’incapacità di dialogare. Penso, e non sono il solo — afferma Ortoleva —, che la polarizzazione del dibattito politico oggi sia una nuova forma di fanatismo che impedisce di creare ponti. Che distrugge, erode, annienta». Una polarizzazione che, sostiene il regista, coincide con una data precisa: «L’elezione di Donald Trump nel 2016: favorita dalla disinformazione diffusa dai social, ha segnato un punto di non ritorno. Un uomo ha preso il comando e ha cominciato a negare, distorcere, manipolare la realtà».
Interrogato da una sorta di «angelo della storia», Erasmo, interpretato da Alfonso De Vreese, dovrà confrontarsi, spiega Ortoleva, «con quelle che noi riteniamo le criticità del suo lascito: cosa vuol dire agire, schierarsi? La storia di questo studioso è importante perché ci pone di fronte all’inevitabilità dell’azione e, al tempo stesso, alla considerazione che la non azione è essa stessa azione. E dunque, decidere di non agire, di non schierarsi in un momento in cui è richiesto farlo è, nel bene e nel male, un modo di prendere posizione».
Come può «agire» un regista, quale può essere il suo campo di azione? «Penso che il teatro sia uno spazio di rappresentazione, non di azione — riflette Ortoleva —. L’unica cosa che un regista può fare è stimolare la riflessione sul reale, spronare chi guarda a considerare il mondo che ha intorno. Indicare la realtà che ci circonda. Non farei quello che faccio se non avesse strettissima attinenza con ciò che vivo». Vale anche per La signora delle camelie, un classico della letteratura ottocentesca firmato Alexandre Dumas, cui il regista ha liberamente tratto lo spettacolo in scena a novembre (dal 14 al 24, poi in tournée), in prima nazionale, al Teatro Fontana di Milano. L’amore impossibile tra la cortigiana Marguerite Gautier e il borghese Armand Duval (ispirato alla febbrile relazione tra Dumas figlio e Marie Duplessis), con la morte di lei, abbandonata e indigente, appartiene ai grandi miti romantici moderni. «Un testo terribile — obietta Ortoleva —, la cui ferocia è stata coperta, sepolta sempre più in fondo. L’opera di Dumas, che chiude la mia personale trilogia sui miti dell’amore romantico, passata per il romanzo di Lancillotto e la Dodicesima notte di Shakespeare, mi ha dato l’assist per parlare, mentre il femminismo guadagna forza, della mercificazione del corpo della donna: Marguerite è vittima del pregiudizio come tante sex workers di oggi. Una riscrittura non facile, ho dovuto fare i conti col fantasma del maschile che è in me e in ogni uomo. La dame aux camelias è passato alla storia come un romanzo che parla d’amore. In realtà è un romanzo che parla di soldi».
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