Massimo Cacciari
Più è evidente quanto sarebbe necessaria quell’Europa unita nel perseguire politiche di accordo e compromesso tra i grandi spazi imperiali in cui il pianeta è diviso, quell’Europa che auspicavano le stesse leadership che hanno condotto alla moneta unica più di trent’anni fa, più questo obbiettivo sembra farsi chimerico, anzi: essere apertamente avversato. Crescono contraddizioni e divisioni all’interno dei governi di Paesi chiave dell’Unione e tutto questo indebolisce ulteriormente la possibilità di esprimere una linea autonoma di politica internazionale. L’Unione assiste alla escalation, e cioè alla propria stessa decadenza in termini anche materiali, commerciali e economici. In attesa di ciò che avverrà nel Paese leader, sempre più leader dell’Occidente? Ma non è chiara la confusione che domina in entrambi i fronti che si contengono la presidenza USA e che quindi mai come oggi sarebbe necessario un vero alleato e non un obbediente vassallo, capace di porre con realismo alcune questioni strategiche e di cercare insieme risposte altrettanto realistiche? Come si ritiene strategicamente risolvibile il confronto tra i grandi spazi imperiali? Ammettiamo si sia abbastanza lucidi da evitare il suicidio globale – che cosa comporta il protrarre una guerra caldo-fredda, sempre sull’orlo di quel suicidio, pensando che una simile “competizione” finirà col rovinare il più debole? Scommettiamo pure che alla fine questo sia la Russia, una tale prospettiva comporta comunque, inevitabilmente, il formarsi di un’economia sempre più di guerra. Ben oltre il 2% del PIL in armamenti, già previsto da noi. Pensare alla guerra senza alcuna “intenzione” concreta a un patto realisticamente perseguibile, significa organizzare intorno a questa prospettiva tutta la politica europea. Sempre, necessariamente, una situazione di guerra finisce con l’essere determinante di ogni aspetto della vita sociale e politica di un Paese.
La domanda da porre perciò alle nostre leadership è questa, molto semplice, ed esse dovrebbero rispondere altrettanto nettamente: ritenete che la situazione attuale non presenti alternative alla escalation? Che sarà necessario procedere a un coinvolgimento sempre più radicale dell’Europa nel conflitto ucraino, ben oltre l’autorizzazione da parte di Biden dell’uso di armi americane per colpire all’interno del territorio russo? Una simile linea appare del tutto lecita soltanto sulla base di questo presupposto: che il conflitto scoppiato in Ucraina con l’invasione russa non abbia alcun carattere locale, ma rappresenti la ripresa di un intento imperiale sull’Est europeo da parte della stessa Russia. Allora, certo, niente nuove Monaco, e se guerra ha da essere che guerra sia. Le leadership occidentali hanno il dovere di esplicitare la loro visione d’insieme sulla natura del conflitto in atto. Può essere fatto rientrare nella “grande trasformazione” che è in corso negli equilibri tra Imperi, e ammettere perciò una composizione politico-diplomatica, o deriva invece dall’inammissibile unilaterale pretesa di allargare il proprio spazio imperiale a spese di Paesi sovrani da parte di una grande potenza? Putin vuole Kiev, e magari soltanto come primo “boccone”? L’Occidente non ha margini allora per alcun patto. Questo si pensa? Questa idea regola la politica Nato? Lo si dica, lo si spieghi, se ne mostrino le ragioni – e, per favore, non come nel caso degli armi di sterminio in mano a Sadam Hussein. Altrimenti si lavori con tutte le forze per aprire un tavolo di negoziato.
Questo sarebbe certo negli interessi vitali di Stati e cittadini europei. Forse non altrettanto di altre “grandi potenze”, capaci di “influenzare” sia gli uni che gli altri. Le grandi oligarchie economico-finanziarie globali hanno straordinariamente aumentato, in questi anni di massacri altrettanto globali, i loro profitti. Aumenti davvero virali, e affari che vanno ben oltre quelle società direttamente impegnate nel rinnovo degli arsenali militari. Tutti i grandi gruppi che monopolizzano le “reti” sono coinvolti nel Grande Gioco della guerra, come sempre formidabile occasione di innovazione. Siamo o dovremmo essere usciti da tempo dal mito della “armonia prestabilita” tra sviluppo tecnico-economico e progresso politico e morale. Sono mondi che perseguono finalità non necessariamente opposte, ma assolutamente distinte. Quale finalità persegue l’agire politico? Questo diventa oscurissimo, almeno per il nostro Occidente, all’epoca dei Biden, dei Trump e degli Stati e staterelli europei in preda a crisi di nervi.
Ciò che dovrebbe risultare evidente a chi è dotato di occhi è che l’Occidente non potrà più detenere il ruolo egemonico sul piano globale che ha ancora mantenuto malgrado tutto anche durante la Guerra fredda e che sembrava destinato a consolidarsi ancora dopo il suicido dell’URSS. Non è affatto una buona notizia, poiché quella egemonia si reggeva non solo su forza economica, potenza militare, capacità imprenditoriale, creatività, ma anche su politiche sociali che combattevano disuguaglianze di ceto e di genere, su diritti da difendere e implementare, su un reale pluralismo nell’informazione – insomma, su un’idea di democrazia progressiva, non formale, che nel mondo non è affatto di casa. L’idea su cui l’Europa avrebbe dovuto costruire la propria potenza politico-culturale nel nuovo Millennio.
Qualsiasi prospettiva egemonica di diversa natura è già tramontata di fatto. E qualsiasi grande potenza volesse oggi resuscitarla condannerebbe il mondo alla catastrofe. O si procede consapevolmente alla costituzione di un nuovo Nomos della Terra tra i grandi spazi imperiali, fondato sul reciproco riconoscimento o la competizione economica inevitabile aggraverà i conflitti locali fino a trasformarli in un’unica Guerra. Resistere nella difesa di antichi primati non fa che ritardarla: un potere che sa solo frenare. Così appare inevitabile che un sistema monetario internazionale fondato sul dollaro contrasti in linea di principio con qualsiasi prospettiva di un ordine globale multi-polare. Un tale sistema non è contestato solo da Cina e Russia, ma, nei fatti, attraverso una serie di accordi bilaterali, sempre più anche da India, Brasile, Sud Africa, Egitto, Etiopia, Iran. Il mondo è sempre più irriducibile a Uno. L’Occidente possiede nella sua storia il linguaggio in grado di comprenderne questa straordinaria complessità. Lo ricordi, lo esprima, lo ponga in atto. O il suo non sarà solo tramonto.