L’eredità di due grandi firme
26 Novembre 2023gerusalemme e atene, eterni ritorni
26 Novembre 2023Per molti politici la coerenza non è una virtù. Non lo è per la premier Meloni. La settimana scorsa, negli stessi giorni, ha firmato un «Piano d’Azione italo-tedesco per la cooperazione strategica bilaterale e nell’Ue» e nello stesso tempo il suo partito al Parlamento europeo ha votato contro la proposta di riforma dei Trattati che va nella direzione prevista da quel Piano d’Azione. Vediamo meglio. Il Piano d’Azione è un accordo di collaborazione tra i due Paesi che si apre con il seguente paragrafo: «Come membri fondatori dell’Unione europea, Italia e Germania condividono la visione comune di un’Europa forte, solidale e sovrana (corsivo mio)». Per poi precisare che «in ragione delle molteplici sfide che l’Ue si trova ad affrontare a livello globale, l’Italia e la Germania vogliono assumersi la responsabilità comune di plasmare attivamente il futuro dell’Ue verso l’obiettivo condiviso di un’unione democratica, sovrana e sempre più unit a (corsivi miei)».
di Sergio Fabbrini
Per molti politici la coerenza non è una virtù. Non lo è per la premier Meloni. La settimana scorsa, negli stessi giorni, ha firmato un «Piano d’Azione italo-tedesco per la cooperazione strategica bilaterale e nell’Ue» e nello stesso tempo il suo partito al Parlamento europeo ha votato contro la proposta di riforma dei Trattati che va nella direzione prevista da un’Europa forte, solidale e sovrana (corsivo mio)». Per poi precisare che «in ragione delle molteplici sfide che l’Ue si trova ad affrontare a livello globale, l’Italia e la Germania vogliono assumersi la responsabilità comune di plasmare attivamente il futuro dell’Ue verso l’obiettivo condiviso di un’unione democratica, sovrana e sempre più unita (corsivi miei)».
di Sergio Fabbrini
Per molti politici la coerenza non è una virtù. Non lo è per la premier Meloni. La settimana scorsa, negli stessi giorni, ha firmato un «Piano d’Azione italo-tedesco per la cooperazione strategica bilaterale e nell’Ue» e nello stesso tempo il suo partito al Parlamento europeo ha votato contro la proposta di riforma dei Trattati che va nella direzione prevista da macroeconomiche nazionali ed europee. Vengono identificate più di 50 materie in cui lavorare insieme, dalle politiche della ricerca alle politiche della difesa e della sicurezza. Nei fatti, si tratta di un trattato bilaterale, addirittura più articolato di quello che abbiamo siglato con la Francia (il Trattato del Quirinale), firmato dal governo Draghi il 26 novembre 2021 ed entrato in vigore l’anno successivo, di cui si è appena celebrato il primo anno di vita con una cerimonia alla Luiss. Non si tratta di una novità. Con la crescita dell’eterogeneità tra gli stati membri dell’Ue indotta dai vari allargamenti, è anche cresciuto il numero di accordi tra alcuni di essi per rafforzare il rispettivo potere negoziale. Ad oggi, vi sono ben quattro accordi bilaterali, tre accordi trilaterali, quattro accordi plurilaterali, oltre a dieci accordi transregionali (tra stati membri e non dell’Ue), per un totale di ventuno accordi interstatali che strutturano informalmente il processo decisionale europeo. Tuttavia, mentre la generalità degli accordi interstatali ha il carattere di una cooperazione nelle politiche europee, il Trattato franco-tedesco (del 1963), il Trattato italo-francese (entrato in vigore nel 2022), il Trattato franco-ispanico (del 2023), e ora il Piano d’Azione italo-tedesco hanno il carattere di una cooperazione anche nella politica europea (finalizzata a sostenere il processo di integrazione europea). Solamente l’Accordo di Visegrad (del 1993, tra Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) ha finito per acquisire un carattere altrettanto politico, ma di segno opposto (fermare il processo di integrazione europea). Con il Piano d’Azione italo-tedesco, dunque, la premier Meloni si è collocata sul fronte integrazionista.
Tuttavia, questa scelta è stata contemporaneamente contraddetta dai Conservatori del suo partito in un voto cruciale del Parlamento europeo. Sulla base del Rapporto di riforma dei Trattati, elaborato da cinque relatori della Commissione Affari costituzionali, che prevede (tra gli altri) l’estensione del voto a maggioranza qualificata nella generalità delle politiche europee, incluse le politiche del fisco e della sicurezza, il Parlamento europeo ha votato su quel Rapporto il 22 novembre scorso. Considerando chi non ha partecipato al voto (un centinaio di parlamentari),chi si è astenuto (44 parlamentari) e chi ha votato contro (274), il Rapporto è stato approvato da 291 parlamentari (cioè, da poco più del 40 per cento dei 702 membri del Parlamento) tutti appartenenti ai gruppi della cosiddetta “maggioranza Ursula” (Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi), mentre i Conservatori europei (di Giorgia Meloni) e gli Identitari (di Matteo Salvini) hanno votato contro (senza eccezioni), mentre Forza Italia (tra i Popolari) si è divisa. Seppure il Rapporto fosse tecnicamente farraginoso e tradizionalmente parlamentarista, il voto contrario dei Conservatori e degli Identitari è stato motivato da ragioni di principio, come la difesa «delle Patrie e delle loro sovranità nazionali». Questi parlamentari hanno addirittura sostenuto che il Rapporto perseguiva una prospettiva federale al servizio degli interessi francese e tedeschi (dei secondi in particolare). Una tesi bizzarra avanzata anche da Andrew A. Michta (membro trumpiano dell’Atlantic Council of the United States) in un articolo appena pubblicato da Politico. A dimostrazione che l’ignoranza non ha confini, Michta e i suoi amici europei mostrano di non sapere che il federalismo costituisce proprio la risposta ai pericoli dell’egemonismo di uno stato o gruppo di stati all’interno di un’unione di stati. Se l’America fosse rimasta confederale (come l’Ue che vorrebbe Meloni), avrebbe continuato ad essere dominata proprio dagli stati più grandi (ieri, Virginia e Massachusetts; oggi, California e New York). Così, negli stessi giorni in cui la nostra premier siglava il Piano d’Azione italo-tedesco, i parlamentari europei del suo partito votavano contro il progetto di rafforzamento dell’Ue che il Piano d’Azione si propone di perseguire.
Insomma, la premier Meloni insiste a perseguire posizioni opposte, rispondendo agli interessi del Paese attraverso l’europeismo del Piano d’Azione italo-tedesco e ai sentimenti dei suoi sostenitori attraverso l’antieuropeismo del voto parlamentare. La premier ha fatto della incoerenza politica la cifra della sua azione in Europa. Fino a quando può durare?