Giudici, intercettazioni e riforma penale
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15 Giugno 2023L’analisi
Se le notizie di ieri dal mare del Peloponneso saranno confermate, siamo davanti a una delle maggiori tragedie della storia del Mediterraneo. Paragonabile per numero di vittime a quella del 3 ottobre 2013 con il naufragio che a Lampedusa provocò 368 morti e 20 dispersi e quella del 18 aprile 2015 con il naufragio al largo di Malta che probabilmente ha causato più di mille vittime. Il naufragio in acque internazionali del peschereccio libico a Pylos si colloca in questa scia di morte dimenticata e nascosta e che nessuno riesce o vuole fermare da oltre un decennio. Anche in questa imbarcazione donne e bambini erano stati chiusi nella stiva, come vuole la tradizione dei viaggi della morte che non ha pietà di chi sta in terza classe. La memoria breve del cronista torna inevitabilmente ai giorni di Cutro e alle parole di papa Francesco pronunciate nell’udienza ai rifugiati giunti in Europa con i corridoi umanitari il 18 marzo scorso: «Quel naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si ripeta». Non siamo stati capaci di evitarlo.
Responsabili dell’accaduto sono anzitutto i trafficanti che hanno cinicamente sovraccaricato un peschereccio di 30 metri, molto probabilmente con 750 persone, mettendolo in mare con il maltempo a Tobruk, nella Libia orientale, alla volta delle coste italiane. Deve rispondere del mancato controllo il generale Haftar, ras della Cirenaica con passaporto americano,
sostenuto da francesi, russi ed egiziani e ricevuto di recente dal premier Meloni a Roma.
Costui ha probabilmente voluto battere cassa facendo partire l’imbarcazione verso un’Italia più interessata alle casse a e alle vicende tunisine. La tragedia è una ulteriore dimostrazione della necessitò di riunificare e stabilizzare in fretta la Libia non solo per questioni di sicurezza dell’area. Fuori dai denti, finché i migranti costituiranno un’importante voce del prodotto interno nazionale libico, queste tragedie si ripeteranno. E poiché i flussi di profughi secondo l’Acnur, stanno crescendo continuamente per la “terza guerra mondiale a pezzi” (la Libia confina con il Sudan in fiamme da due mesi ) è importante che il complicato processo diplomatico non si arresti.
Ma anche in mare ci sono responsabilità e gravi omissioni da accertare. Stando alle notizie raccolte, si addensano ombre sull’operato della marina greca, che non gode di grande fama con i migranti e il diritto del mare, la quale ha subito ha messo le mani avanti dichiarando che i passeggeri del peschereccio, diretti in Italia, avrebbero rifiutato ogni soccorso per proseguire il viaggio prima di ribaltarsi. Su twitter li smentiscono un’attivista e Alarm phone, i quali nelle 48 ore precedenti la tragedia hanno ricevuto messaggi di allarme dai passeggeri del viaggio della morte secondo i quali a bordo c’erano addirittura sei cadaveri. Quindi gli attivisti hanno allertato le autorità elleniche. Aspettando che le indagini della
magistratura greca facciano chiarezza sui mancati soccorsi, possiamo dire che questa tragedia seppellisce anche il vertice dei ministri dell’interno Ue in Lussemburgo della scorsa settimana, quello dei “passi avanti”. Le uniche norme che avrebbero potuto cambiare la situazione sono state infatti cassate dai sovranisti a un anno dalla europee e ci sono poche speranze che qualcosa cambi. Quindi niente riforma del regolamento Dublino 3, niente redistribuzioni o novità sui salvataggi in mare a partire da una missione Ue di pattugliamento e soccorso. Niente corridoi umanitari europei, le vie legali di accesso che solo l’Italia pratica da anni grazie alle chiese cristiane e all’8 per mille, tutelando i fragili, come le donne e i bambini chiusi nella stiva.
Solo muri e veti che portano tragedie annunciate.
Come diceva il cardinale Zuppi introducendo l’ultima assemblea dei vescovi, questa è la società della paura, che non fa figli e non sa più accogliere.