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diAntonino Palumbo
La scienza parla inglese. Spesso in maniera esclusiva.
Tanto da rischiare di non saper veicolare i propri contenuti nelle lingue nazionali. Predominio anglofono, valutazioni sbilanciate, abilità divulgativa e rischio di falsa informazione sono alcuni dei temi toccati nell’incontro “Lingua italiana e scienza, nella stagione di Nature Italy: ripresa reale o fuoco di paglia?”, ospitato dall’accademia della Crusca. «Non siamo contrari all’uso dell’inglese, ma all’eliminazione dell’italiano.
Comunicare la scienza in due lingue è una soluzione opportuna, ma ancora rara.
Ritengo inoltre paradossale che, spesso, un prodotto scientifico venga valutato con un sovrappiù di merito se è in lingua inglese» spiega Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca.
Sull’egemonia anglofona nello scambio globale di informazioni scientifiche, ma anche del recupero dell’italiano per la divulgazione si è soffermato Menico Rizzi, docente universitario e membro dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca.
Maria Luisa Villa, scienziata, immunologa e accademica della Crusca, ha invece sottolineato l’importanza di una lingua unica per comunicare, ma anche la necessità delle lingue nazionali per far circolare le conoscenze scientifiche «fuori dalla cerchia ristretta di addetti ai lavori, per assicurare la cultura scientifica civica». Al dibattito è intervenuto Nicola Nosengo, direttore della rivista digitale Nature Italy, che pubblica sia in italiano, sia in inglese: «Fughiamo il rischio di un monopolio anglofono. E dei portali bilingui è quello di maggiore successo in termini assoluti».