Recessione e tempesta valutaria globale, la doppia sfida perfetta che attende il prossimo governo
27 Settembre 2022MARCO GROTJAHN Backcountry
27 Settembre 2022Edith Bruck
Edith Bruck, scrittrice, poetessa e traduttrice sopravvissuta alla shoah, è scappata dall’Ungheria, suo Paese d’origine, settant’anni fa, ha trovato rifugio in Italia, ed è rimasta a viverci. Ha raccontato quello che ha visto nei campi e quello che è venuto dopo, il fardello che è stato «nascere donna, povera, ebrea, in una vita sola», nei suoi libri (l’ultimo, Il pane perduto, La nave di Teseo) e nelle scuole di tutta Italia, dove incontra gli studenti da anni, convinta che «l’educazione serve a tirare fuori il bene che sta dentro ciascuno».
Non torna in Ungheria da molto tempo, ha detto spesso che Orbán ha instaurato un regime strisciante, che ha rafforzato un antisemitismo mai sconfitto, e che le strade per gli ebrei e le minoranze non sono più sicure. L’Italia, che l’ha accolta e salvata, oggi sceglie di farsi governare da un partito che con Orbán condivide, come lui stesso ha detto complimentandosi con Giorgia Meloni, le sfide per e con l’Europa.
L’Italia è intollerante come l’Ungheria?
«No. Sono qui da quasi settant’anni e nessuno mi ha mai offesa. Avevo, tempo fa, una collaboratrice domestica molto cara: una volta mi disse che non credeva fossi ebrea, perché, disse, “gli ebrei sono brutti cattivi e avari e tu invece sei buona bella e generosa”. Io non me la presi, capii che parlava per un riflesso culturale».
Esiste ancora quel riflesso?
«Esiste, ma è qualcosa di diverso dall’odio, che invece in Ungheria c’è, e si sente».
Rischiamo che quell’odio si risvegli?
«Dopo questa vittoria di Giorgia Meloni, il fascismo in Europa crescerà: Marine Le Pen vorrà brillare come lei, la Polonia si sentirà più forte e l’Ungheria avrà un buon alleato a Bruxelles».
Perché il fascismo non si riesce a estirpare?
«Me lo chiedo continuamente. È l’unica grande ideologia rimasta in piedi: il socialismo e il comunismo sono morti, il fascismo è stato sopito, domato, ma mai estirpato: ha mantenuto le sue radici, che sono assai profonde, e adesso ha anche dei lunghi rami».
È stato sottovalutato?
«Quando vado nelle scuole, mi rendo conto che i ragazzi conoscono poco la storia, anche se ne sono affamati, e sono sensibili a quello che viene loro raccontato. Dopo ogni incontro, mi scrivono, mi dicono che vogliono impegnarsi. Ma poi penso al fatto che la scuola viene soltanto dopo la famiglia, e le famiglie mi sembrano tutte divise, impoverite dall’assenza dei nonni, i depositari del passato, quelli che possono raccontare la storia e con i quali si impara la relazione con chi è fragile. In generale, gli anziani sono esclusi, dimenticati, e questo incrudelisce la società intera».
Tra le ragioni di questo voto c’è la paura, e quindi il desiderio di sentirsi protetti da chi sembra più forte?
«Certo. La massa spesso non ragiona: va dietro a chi urla di più. Si adatta. In Ungheria prima erano tutti fascisti, poi arrivò l’esercito sovietico e diventarono tutti comunisti: c’ero, ho visto persone tremare di paura e accodarsi al potente di turno per il terrore di venire denunciata dai vicini di casa. Le persone, specie nei momenti in cui c’è una crisi economica molto forte, si affidano a chi sbatte i pugni e grida. Tutti i dittatori gridano. Letta non grida, e infatti non arriva. Giorgia Meloni sì, e anche spesso».
Nel discorso che ha fatto domenica notte, quando i risultati erano ormai chiari, è stata molto pacata e ha detto che intende valorizzare ciò che unisce gli italiani.
«Unire forse è peggio: quasi tutti le andranno dietro, e allora ciò che unirà gli italiani sarà lei. E le differenze? E gli altri? Già comincio a notare che molti giornalisti nei suoi confronti si sono ammorbiditi».
Abbiamo visto, in campagna elettorale, due Meloni, una atlantista e una orbaniana. A quale crede di più?
«Alla terza Giorgia, quella segnata dalla scuola e dagli amici che frequentava da piccola».
E alla donna, madre, cristiana, italiana?
«Sono 4 parole vuote e insensate. Che significa che sei cristiana? Che sei più buona? Forse che i cristiani non hanno mai ucciso, non hanno mai fatto guerre?».
Mesi fa, lei ha firmato l’appello di Dacia Maraini per una presidente della Repubblica: disse in quella occasione che però non le veniva in mente il nome di una donna per la carica.
«Si trattava di stabilire un principio: le donne devono avere accesso alle più alte cariche dello Stato. Ma in Italia nessuna ha ancora maturato un’esperienza necessaria per quel ruolo».
Meloni, invece, sarà premier. La prima premier donna.
«E questo non è un bene in sé. Anzi: spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini: tendono a volerli superare, e fanno peggio di loro, sono ancora più spietate. Nei campi di concentramento, le kapò che ho incontrato erano peggiori degli uomini: inumane, cattive. Non è un fatto strutturale, naturalmente, ma di contesto. Non sono sicura che il Paese sia maturo abbastanza per lasciare che una donna ai posti di comando riesca a essere chi è davvero. Meloni è circondata da uomini di un certo tipo, lavora in una struttura di un certo tipo. È amata da chi le dice cose terribili come “ha le palle”, cioè: vali perché sei come un uomo».
La destra ha vinto grazie alla propaganda?
«Ha vinto perché l’Occidente sta facendo un passo indietro di quasi un secolo; perché nessuno si occupa di formare una coscienza civile, di dare alle persone gli strumenti per capire quello che succede: in un talk show qualsiasi, c’è mai qualcuno che ha un interesse diverso dall’attaccare l’avversario per prendere applausi? E allora, a un elettorato confuso e male informato, è stato possibile vendere qualsiasi promessa, e qualsiasi ideologia».
Il male c’entra?
«Io e Primo Levi discutevamo animatamente su questo: per lui, il male nasce sempre da una condizione esterna; per me, tanto il male quanto il bene stanno dentro di noi. Il problema è che tiriamo fuori sempre il male».
Gli intellettuali possono essere utili, in questo, e come?
«Tirando fuori il bene che è nel cuore di ogni uomo».
E tutti gli altri?
«Il Papa una volta mi ha detto: mettiamo una goccia di bene in questo mare nero. Gli ho risposto che mi impegno a fare una pozzanghera».