Imbarazzo nell’esecutivo per la misura che obbliga i profughi a pagare per la libertà entrata nel decreto Curto, ora i ministri Piantedosi e Nordio ne prendono le distanze
Federico Capurso
Un migrante proveniente da un Paese “sicuro”, in cui non sono in corso guerre o persecuzioni, per entrare illegalmente in Italia dovrà pagare tra i mille e gli ottomila dollari. Lo stesso migrante, una volta fatto ingresso nel nostro Paese, per non finire nei centri di “espulsione accelerata” dovrà invece pagare poco meno di cinquemila euro. La prima somma finirà nelle tasche dei trafficanti, la seconda nelle casse dello Stato italiano. È una delle novità introdotte dal governo Meloni con il decreto Cutro e resa ieri realtà da un decreto del ministero dell’Interno: il trattenimento del migrante può essere evitato – si legge – se viene «prestata idonea garanzia finanziaria». Per l’esattezza, 4.938 euro.
La misura è dedicata solo a chi arriva da un Paese “sicuro”, si è già visto rigettare la richiesta di asilo ma ha presentato ricorso. In attesa di conoscere l’esito del suo ricorso, per evitare di finire nei nuovi “centri di frontiera per le espulsioni accelerate”, potrà pagare. La questione provoca un certo imbarazzo all’interno dell’esecutivo. È l’unica norma di cui i partiti di maggioranza non rivendicano la paternità. È entrata però nel decreto Cutro con un emendamento del governo. Voluto da chi? Non dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, né dal sottosegretario con delega all’Immigrazione Nicola Molteni, viene fatto sapere dal Viminale. Fonti dell’esecutivo sostengono che l’idea sia stata partorita dal ministero della Giustizia. Eppure, a via Arenula, nessuno ne sa nulla. «Non me ne sono occupato io», assicura il viceministro di Forza Italia Francesco Paolo Sisto. Cadono dalle nuvole anche gli uomini di Fratelli d’Italia e della Lega. Allarga le braccia pure il relatore di maggioranza del provvedimento, il senatore Riccardo De Corato, di FdI: «Non ricordo chi abbia voluto quell’emendamento. Il decreto Cutro era del maggio scorso, è passato troppo tempo», dice a La Stampa. Dal ministero della Giustizia, alla fine, c’è persino chi tenta di ripercorrere una strada antica ma sempre sicura: «Qui ci sono sempre tante “manine”». Soluzione facile ma non sempre salvifica. Perché come sbotta un membro di peso della Lega, a metà tra la sorpresa e l’irritazione, «non è proprio una cosa da governo di centrodestra». Certo non è da governo di centrosinistra, a sentire dalle reazioni provenienti dall’opposizione: «Crudele», «uno schifo», e via dicendo.
Dal Viminale intanto viene fatto sapere che «la garanzia mira a scongiurare il rischio di fuga, rivestendo il carattere di deposito cauzionale». E che per evitare «la possibilità di garanzie “strumentali”», utili quindi alla fuga, «è stata esclusa la possibilità che la garanzia venga prestata da terzi o da associazioni del terzo settore, o che sia prestata in contanti». L’unica forma di garanzia ammessa sarà quella della «fideiussione bancaria o assicurativa». Allo straniero, prevede il decreto, «è dato immediato avviso della facoltà, alternativa al trattenimento, di prestazione della garanzia finanziaria», che dovrà essere versata «in unica soluzione». Tutto e subito. Ma questo, ammettono nella maggioranza, di certo non esclude che alla fine si riesca comunque a sfuggire alle maglie già piuttosto lasche dello Stato. Anche perché la platea di chi potrebbe usufruire di questa soluzione è piuttosto ampia. Lo prevede il decreto stesso: nel caso in cui lo straniero «si allontani indebitamente – si legge – il prefetto del luogo ove è stata prestata la garanzia finanziaria procede all’escussione della stessa». Insomma, i cinquemila euro finiscono nelle casse dello Stato.
Potrebbero pagare in cambio della libertà tutti i migranti provenienti da Paesi come Tunisia, Marocco, Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal, Algeria, e altri ancora. La Costa d’Avorio, ad esempio, è la seconda per arrivi quest’anno; la Tunisia è terza. Insomma, si tratterebbe della stragrande maggioranza dei migranti arrivati in questi mesi di forte pressione dei flussi. Non avendo, in linea di massima, diritto a forme di protezione interazionale, non finirebbero nei Centri per il trattenimento e il rimpatrio, i cosiddetti Cpr, dove generalmente vengono destinati quei migranti che hanno commesso reati in Italia, né nei Centri di accoglienza straordinaria o negli hotspot, ma nei nuovi “Centri di frontiera per le espulsioni accelerate”, anche questi introdotti dal decreto Cutro, in cui resterebbero per quattro settimane prima del procedimento di espulsione. Purché non si paghi. Il primo di questi centri sorgerà a Pozzallo, in Sicilia. Il Commissario straordinario per l’emergenza immigrazione, Valerio Valenti, ha già individuato la struttura e dato avvio ai lavori. Saranno disponibili, però, solo 84 posti. Le prefetture stanno individuando altri luoghi per la costruzione di questi centri. Quanti saranno e dove verranno dislocati, però, non è ancora stato deciso.
L’emendamento del governo recepirebbe – si sostiene dal governo – una direttiva europea che prevede soluzioni alternative al trattenimento. Dall’opposizione si sottolinea, invece, come sia in aperto contrasto con un’altra direttiva europea, quella sui rimpatri, anche alla luce della sentenza di giovedì scorso della Corte di giustizia europea che ha ribadito le garanzie necessarie da riconoscere alla persona migrante. E tra queste, non c’è alcun prezziario per la libertà.