La perdurante condizione di “afonia” ha privato fin qui gli interessati – praticamente tutti gli italiani ai quali la Costituzione riconosce il diritto alla salute, l’unico per il quale la Carta riserva l’aggettivo “fondamentale” – di conoscere il suo pensiero sul ddl Calderoli, che tra le altre cose, non di poco conto e con imprevedibili implicazioni, sembra rimandare ad un venir meno del ruolo guida del dicastero, già capofila del Servizio Sanitario Nazionale e all’aumento dei poteri di autocrazie regionali.
Cosa pensa davvero, dunque, il ministro della Salute – al di là di brevi esternazioni di circostanza – dell’autonomia differenziata, fortissimamente voluta dalla Lega (che dopo l’approvazione in prima lettura a palazzo Madama ha sventolato la bandiera del leone di San Marco, simbolo del Veneto e dell’identità storica e culturale di quella regione)? Quali effetti, a suo giudizio, potrà avere quella riforma che si abbatterà sul nostro bene pubblico nazionale più prezioso cioè il Servizio Sanitario nazionale, nato con la legge 833/1978, che ci ha permesso di affrontare la traversata nel deserto della terribile emergenza pandemica? Una legge spartiacque, quella, che garantiva la tutela della dignità e della libertà della persona, attraverso i principi cardine della globalità delle prestazioni, dell’universalità dei destinatari e dell’uguaglianza del trattamento tra tutti i cittadini.
Quali scenari si possono intravvedere dietro le trionfalistiche dichiarazioni del ministro per gli Affari regionali e le autonomie, al cui nome è legata la riforma elettorale, ribattezzata, non a caso, col nome di Porcellum?
È perfino troppo facile prevedere che l’introduzione dell’autonomia differenziata produrrà una irreversibile frammentazione del servizio sanitario, anche di fronte a grandi emergenze di carattere nazionale come Covid-19; che rafforzerà le spinte verso l’egoismo territoriale e aggraverà differenze, diseguaglianze e squilibri negli accessi ai servizi sanitari tra varie aree del Paese, che già oggi alimentano la migrazione sanitaria dalle regioni-cenerentola a quelle più ricche.
Inoltre, producendo una molteplicità di sistemi organizzativi, rischia di elidere ogni coerenza fra alcuni sistemi “regionalizzati” e i principi fondativi del Servizio sanitario nazionale che garantiscono l’effettiva attuazione dell’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Né serve a rassicurare – date le tante incognite in campo – la precondizione necessaria a mettere in moto l’autonomia differenziata: in caso di extracosti a carico delle finanze pubbliche, non si potrà procedere al trasferimento di funzioni alle regioni senza aver stanziato le risorse per garantire i Lep – cioè i “livelli essenziali di prestazione” sull’intero territorio nazionale – comprese le regioni che non hanno sottoscritto le intese – in modo da scongiurare disparità di trattamento tra territori. Questa nuova clausola “salva-unità nazionale” dovrebbe servire, almeno nelle intenzioni del partito della premier, a dare l’impressione che il diritto alla salute abbia conservato una dimensione nazionale e non abbia un peso diverso per siciliani, campani, toscani, lombardi.
Ma l’Italia a “pezzi”, disunita è già qui e così la «secessione delle regioni ricche» annunciata dalla trionfante bandiera del leone di San Marco, simbolo del Veneto sventolata in Senato il giorno del voto.