L’intervista
Broglio, capo dei vescovi Usa
Per Benedetto “santo subito” è «un po’ presto». La sua figura rimane un punto di riferimento per il futuro della Chiesa. Ma le critiche che monsignor Gänswein ha iniziato a indirizzare a Francesco ancora prima dei funerali del Papa emerito non andrebbero fatte «tramite i mass media». Quanto a Francesco, ora «la possibilità di un ritiro sarebbe più fattibile», ma è lui che deve decidere e finora ha dato segnali di voler «andare avanti». È l’analisi dell’arcivescovo Timothy Broglio, presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti. Ex ordinario militare, in passato segretario del cardinale Angelo Sodano, da novembre monsignor Broglio, annoverabile tra i conservatori, è a capo dell’episcopato Usa.
La morte di Benedetto XVI influenzerà la Chiesa?
«Io credo di sì perché dopo la morte di una figura della statura e della profondità del Papa emerito uno comincia a rileggere quello che ha scritto. È l’occasione di potere arricchire la sapienza della Chiesa e di rivedere quanto ha fatto e detto per la Chiesa. Penso che il suo passaggio da questa vita sia anche un invito ad approfondire la sua dottrina e il suo contributo alla Chiesa».
Quale, in particolare, per il futuro prossimo della Chiesa?
«Prima di tutto l’interpretazione autentica del Concilio vaticano II: lui vi partecipò come perito e ha molto da offrire. È una questione che è ancora molto viva nella Chiesa. Poi ha contribuito molto con i suoi tre libri su Gesù, un’opportunità di avvicinarsi sempre di più al Signore approfondendo il nostro rapporto sia individuale che collettivo».
Il giorno dei funerali qualcuno nella piazza ha gridato “Santo subito”: cosa ne pensa?
«Credo che in futuro certamente il processo inizierà. Ma penso anche e, se posso osare, credo che Papa Benedetto sarebbe d’accordo con me, che queste cose maturano con il tempo. Non ho dubbi che Joseph Ratzinger sia in cielo ma mi sembra che la Chiesa ha i suoi tempi, i suoi metodi per fare un processo normale, dare tempo di studiare il caso, e anche vedere se ci siano miracoli da attribuire alla sua intercessione. Mi sembra un po’ presto per tutto questo».
Il pontificato di Francesco cambierà da adesso in poi?
«Non saprei rispondere. Forse la possibilità di un ritiro sarebbe più fattibile adesso che non c’è più il Papa emerito, ma questo ovviamente è pura speculazione perché non ho idea cosa ne pensi papa Francesco».
Perché? A lei sembra che abbia intenzione di andarsene?
«No, anzi ho visto che ha appena fatto una riorganizzazione del vicariato di Roma: mi sembra uno che va avanti. Però ho visto anche la difficoltà, il fatto che non celebra: sono tutti elementi di un lavoro pastorale normale che mancano. Ma ovviamente è sempre lui che decide se ha le forze di continuare o no».
In questi giorni il segretario particolare di Benedetto, Georg Gänswein, sta criticando il Papa apertamente: che impressione ha avuto nel merito, nel metodo e nella tempistica?
«Confesso che non ho letto quello che ha detto, ma penso che se abbiamo critiche da fare al SantoPadre non bisogna farle tramite i mass media ma direttamente a lui personalmente. E considero monsignor Gänswein come un amico».
C’è una battaglia in corso nella Chiesa tra progressisti e conservatori?
«Non amo molto questi termini però sì, ci sono tensioni tra, diciamo, progressisti e conservatori. Forse ci sono sempre state ma mi sembrano molto più evidenti adesso. Vediamo alcuni vescovi tedeschi che vanno avanti con il percorso sinodale, e con questo certamente io non posso essere d’accordo, sarebbe una fonte di tensione. Ma ci sono critiche anche dall’altra parte, che possono essere anche esagerate. Sì, bisogna riconoscere che ci sono tensioni».
E qual è il modo migliore per gestirle?
«È sempre un’arte, ma è molto importante l’ascolto: credo che papa Francesco ci abbia insegnato molto.
Bisogna dare la possibilità a tutti di esprimere i propri pensieri, e allo stesso tempo bisogna cercare anche di ridurre l’amarezza che sentiamo a volte: difficile immaginare che queste siano persone della Chiesa, che prima di tutto è una comunione di amore. Possiamo non essere d’accordo però bisogna cercare la maniera di esprimere le critiche in una maniera fraterna, caritatevole ed evitare questa asprezza che spaventa».
Proprio dagli Usa e proprio nei confronti di questo Papa sono arrivate critiche in passato inimmaginabili…
«Le critiche vengono anche da persone che forse non leggono tutto quello che dice il Papa, o leggono solo gli articoli di stampa. Poi c’è modo e modo di criticare. È vero che la Chiesa cattolica negli Stati Uniti era fra le più fedeli al Romano pontefice e forse abbiamo dimenticato la maniera di esprimere perplessità o chiedere chiarimenti.
Ma posso dire che la maggioranza dell’episcopato Usa certamente non ha fatto critiche in forma diretta. Ci sono alcuni singoli vescovi che hanno detto cose che non siamo abituati ad ascoltare, ma in genere abbiamo sempre cercato di parlare con rispetto e di esprimere la nostra fiducia e la nostra fraternità con papa Francesco».
Quali le vostre priorità per i prossimi anni? L’aborto?
«Certamente la questione del diritto alla vita, poi cerchiamo di catechizzare meglio i fedeli sull’eucaristia, ma anche i poveri e i migranti sono al centro delle nostre preoccupazioni, e il ritorno alla partecipazione a messa dopo la pandemia».