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Cosa serve alla Ue per superare l’elettroshock
16 Febbraio 2025
Gli ignavi del no al fine vita
16 Febbraio 2025Da qualche parte, nel centro di Gaza, un palco. Dietro il palco, un fondale in tre lingue (arabo per la folla, inglese per il mondo, ebraico per il demonio). Sul fondale le scritte “Vittoria completa” e “Noi siamo il diluvio”.
Arrivano alcuni uomini incappucciati, indossano kefiah verdi e nere, alzano il pugno, ma freddi come robot. Spuntano due di quei pickup che, il 7 ottobre, hanno assaggiato il sangue di Shani Louk, la giovane donna seminuda portata via come un animale, violata e poi martoriata. Eccoli, Eli, Or e Ohad, i tre ostaggi, dovremmo chiamarli gli uomini-fantasma, smagriti e senza forze, trascinati dagli uomini-robot fino al palco.
Uno indossa occhiali scuri come se la luce del sole, all’uscita dal labirinto dei tunnel, gli fosse intollerabile. L’altro, come un bambino al suo primo giorno di scuola, regge un foglio stampato che sembra essere un certificato di buona condotta martire. Al terzo fanno pronunciare qualcosa. Se non riesce, se sbaglia o dimentica di dire che «un accordo è meglio di una guerra», glielo fanno ripetere e lui, ridotto all’ombra di sé stesso, malfermo, non ha il diritto né la forza né la volontà di chiedere se riabbraccerà davvero sua moglie e le sue figlie. A questo punto entra in scena il rappresentante della Croce Rossa. Sembra quasi la firma di una bolla di spedizione. È tutto programmato. Everything is under control. Lo Stato siamo noi, Hamas, il nostro “Dio sia lodato” risuona quando muore uno dei nostri bambini. Gli ostaggi, mezzi morti, sono liberati. La dimostrazione di forza è finita. Stop.
Non ci si stupisce più di tanta crudeltà. Né ci sorprende questa passione per la messa in scena mirante nelle intenzioni a incidere con il bulino, nell’occhio di chi ha la forza di guardare, l’umiliazione e la sofferenza inflitte. Lo Stato Islamico non ci aveva abituati, con le sue decapitazioni postate su YouTube, a questo gusto hollywoodiano? Ancora prima, Al-Qaeda non aveva fatto altrettanto, filmando Daniel Pearl intento a recitare, prima di essere sgozzato, la professione di fede ebraica che gli era stata prescritta?
Impressionante, invece, è stato il contrasto con Tel Aviv, Piazza degli Ostaggi, dove la folla era accalcata per seguire, a distanza, la risurrezione dei tre uomini, ciascuno dei quali “salva il mondo intero”. Silenzio e dignità. Il blu e il bianco delle bandiere di Israele che sventolavano sopra le loro teste. E, al posto delle previste esplosioni di gioia o di rabbia, un’atmosfera di raccoglimento e pianto.
Così funziona la memoria involontaria, “proustiana”, del genere umano. Si guardano dei prigionieri che camminano verso la libertà ma ciò che si vede, paragonabili o meno, sono sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti. Stessi corpi ridotti a sacchi d’ossa. Stesse orbite oculari incavate, stessi sguardi inespressivi. Stessa disperazione, sconvolta ed emaciata. Non si sa se Hamas, che ha consultato fino in fondo la demonologia hitleriana, sappia quello che sta per fare. In verità, qui è tutta questione d’immagine. Quelle immagini sono pertinenti e dicono tutto.
Non si ha più voglia, dopo tutto questo, di sentire Trump che si vanta del suo accordo d’oro e della sabbia fina, del suo progetto di sostituzione definitiva dei due milioni di gazawi che a prima vista lasciano che si compia questa infamia, e della sua folle idea di ricoprire ogni cosa, una volta per tutte, con una bella colata di cemento, grattacieli di vetro e acciaio, piscine a sfioro: Gaza non esiste più, evviva Mar-a-Gaza.
Non si ha nemmeno più il tempo di ascoltare i furbi spiegare che non c’è da preoccuparsi tanto, si tratta soltanto di un azzardo, di un bluff – ho una scala a colore, fammi vedere il tuo tris – e così si rivela alla luce del sole tutta l’ipocrisia di coloro che da cinquant’anni vanno ripetendo, come dischi rotti, “prigione a cielo aperto”…
Prigione? Sul serio? Scommettiamo! Ecco qui le chiavi.
Non ho nemmeno più il coraggio, per una volta, di ricordare che i popoli sono fatti così, sono stregati dai loro stessi aguzzini. Come potrebbe essere altrimenti, quando si è stati nutriti dell’odio antiebraico dei manuali scolastici dell’Unrwa? Beh, occorre tempo, ma bisogna svegliare i palestinesi, li si deve liberare dai loro demoni. Inoltre, benché per l’umanità stia per scoccare la mezzanotte, è necessario che vi sia un popolo palestinese diverso.
Oggi, come sabato 8 febbraio, predomina un sentimento. Uno solo. La collera contro questa sceneggiata. Il terrore di quei tre contro 183. E la prossima volta? Saranno due? Due e mezzo? Fino a quando si dovranno fare questi conti della serva? E poi la favola della potenza feroce d’Israele quando qualcosa di profondamente ebraico resta impotente di fronte allo spettacolo di quegli uomini in nero, del loro odio marziale e muto, della loro barbarica esultanza.
Si deve respingere tutto ciò. Ci si deve ribellare contro questa tortura senza fine. Gli alleati di Israele devono negoziare una cosa con Hamas e soprattutto i suoi sponsor. Un’unica cosa: la resa incondizionata degli autori di queste sadiche pagliacciate e la liberazione immediata degli ostaggi, di tutti gli ostaggi, senza attendere la fine della fase uno, della fase due e della fase tre. Questa aritmetica è indecente. Lasciarsi paralizzare dal ricatto di robot in mimetica, forti soltanto a causa della nostra debolezza morale, è sbagliato, e un giorno lo si capirà.
Traduzione di Anna Bissanti