Quando Joe Biden entrò alla Casa Bianca nel 2021, voltando pagina dopo gli anni di crisi transatlantica sotto Donald Trump, la speranza era quella di un rilancio del multilateralismo. Centrale in ciò era il G7. L’idea era che si potesse costruire un multilateralismo a cerchi concentrici, che partisse da formati ristretti come il G7 per poi approdare in consessi che riflettessero la realtà multipolare del sistema internazionale. Quel metodo sembrava funzionare: si pensi alle iniziative per ridurre le emissioni di metano o per tassare le multinazionali. Quegli accordi furono raggiunti prima nel G7 sotto presidenza britannica, poi esportati al G20 sotto presidenza italiana, e infine giunsero a gruppi multilaterali più ampi come l’Ocse nel caso della tassazione, o la Cop26 nel caso del clima.
Quel metodo, tuttavia, fu stravolto dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Tuttavia, il G7 rimase centrale alla promozione del multilateralismo. Quell’anno, l’Occidente aprì gli occhi sulla necessità di costruire ponti verso le democrazie del sud globale che, pur condannando l’invasione russa, non erano disposte a sanzionare Mosca o a sostenere Kyiv. In questo spirito, la presidenza tedesca del G7 del 2022 per la prima volta invitò leader di Paesi democratici del sud del mondo, tra cui Argentina, India, Indonesia, Senegal e Sudafrica.
Nel 2023, la dimensione globale della guerra in Ucraina cominciò a cristallizzarsi. La guerra in Ucraina – è l’assunto – non rappresenta un confronto tra il nord globale e il sud globale; i Paesi del sud vogliono semmai rimanere non-allineati. L’invasione russa riflette, invece, un conflitto tra l’Occidente globale e l’Oriente globale, con Russia e Cina sempre più vicine. In quel contesto, il G7 fece la sua parte, e mentre i Brics si allargavano a nuovi Stati membri in chiave anti-occidentale, la presidenza giapponese estese le relazioni del G7 invitando le altre grandi democrazie dell’Asia orientale, tra cui Australia, Indonesia, Corea del Sud e Vietnam.
Il G7 del 2024 in Puglia non ha avuto una storia avvincente da raccontare. La frattura globale con la Russia è sempre più profonda; la contesa commerciale tra Usa e Ue da un lato e Cina dall’altro si inasprisce a botta e risposta di dazi; la guerra a Gaza ha accantonato per il momento le illusioni di una normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita e messo in luce l’ipocrisia occidentale sul diritto internazionale. E la democrazia liberale sulle due sponde dell’Atlantico è di nuovo sull’orlo del baratro, con l’estrema destra al potere o in ascesa nei principali Paesi europei, e con lo spettro di Trump all’orizzonte.
In questo contesto, il G7 è apparso dolorosamente debole. Pur mostrando una facciata di unità, la coesione politica del G7 ha evidenziato le sue crepe, come emerso con la controversia sui riferimenti all’aborto e ai diritti Lgbtqi nel testo del comunicato finale. L’annacquamento del linguaggio sui diritti civili rispetto al testo consolidato del vertice di Hiroshima del 2023, voluto dalla presidenza italiana, suona come un campanello d’allarme rispetto alle fratture politico-valoriali all’orizzonte. Se le elezioni parlamentari francesi aprissero la strada a un governo di estrema destra, e se il voto presidenziale statunitense vedesse il ritorno di Trump alla Casa Bianca, il G7 sarebbe a pezzi, scisso tra liberalismo e illiberalismo.
L’effetto di questa minaccia si è sentito sui risultati del vertice, e sulla loro assenza. Il G7 ha raggiunto un solo vero accordo, quello sull’uso dei profitti degli asset congelati russi come garanzia per emettere un prestito di 50 miliardi di dollari all’Ucraina. L’accordo era in lavorazione da tempo. È stato raggiunto adesso proprio a causa della crescente paura che il tempo stia per scadere: se le elezioni in Francia e soprattutto negli Stati Uniti aprissero le porte all’estrema destra, è difficile vedere il vertice del G7 del 2025 raggiungere un tale accordo: quella di Borgo Egnazia aveva tutto il sapore dell’ultima cena.
Oltre all’Ucraina, il vertice in Puglia è stato pressoché un nulla di fatto. Sì, i leader del G7 hanno sostenuto il piano di Biden in tre fasi per porre fine alla guerra a Gaza. Ma il Consiglio di sicurezza dell’Onu lo aveva già fatto, mentre sul terreno la guerra non segnala nessuna battuta d’arresto. Nonostante l’approccio dell’Occidente al Medio Oriente abbia inflitto un colpo letale alla sua credibilità nel sud globale, la presidenza italiana ha tentato di seguire il precedente della presidenza tedesca. Ma a differenza del 2022, non si è intravista una coerenza strategica nella lista degli invitati esterni, che hanno semmai mostrato il volto di un potpourri di piccole e grandi democrazie e autocrazie da diverse parti del mondo. Soprattutto, non ci sono stati grandi risultati concreti. Sì, il G7 si è nuovamente impegnato nel Partenariato per le infrastrutture e gli investimenti globali e ha lanciato nuove iniziative, come quella sui sistemi alimentari e sull’energia per la crescita in Africa, ma sono piani poveri sia di dettagli sia soprattutto di fondi. Per volere dalla presidenza italiana, il G7 ha anche lanciato un’iniziativa per contrastare la migrazione irregolare. Se sono queste le basi per rilanciare i rapporti con il sud globale, la strada è tutta in salita.
Il G7 a Borgo Egnazia è stato un G7 sfortunato. Fatta eccezione per l’accordo sugli asset russi, non ha portato altri risultati concreti. Sopratutto non ha offerto una propria narrazione, ma l’ha subita. Ed è quella della crescente minaccia alla democrazia liberale in Occidente.