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1 Novembre 2024Il libro I saggi del grande storico dell’arte commentati da studiosi escono per Einaudi, con la curatela di Cristina Acidini e Maria Cristina Bandera. Omaggio a un maestro e al suo culto per la parola scritta
di Luca Scarlini
A cinquant’anni dal celebre Meridiano (1974) ordito da Gianfranco Contini, dedicato alle opere di Roberto Longhi, arriva in libreria una silloge che ha lo stesso titolo di quell’antico volume, Da Cimabue a Morandi , che raccoglie, in un ampio Millennio Einaudi, a cura di Cristina Acidini e Maria Cristina Bandera (che pubblica in introduzione il suo Una sinossi di antico e moderno ), una serie di saggi affidati per commento a storici di oggi (gli autori sono trentaquattro, inclusa la custode dell’eredità del maestro, Mina Gregori), che introducono elementi di riflessioni sul magistero longhiano, a partire da un saggio introduttivo di Lina Bolzoni, che si intitola Al teatro della scrittura dell’autore .
La lezione della scrittura ha determinato una vera e propria tradizione, che esce dai territori della storia dell’arte, legando le scelte personalissime della prosa, a una eredità celebre, ampia e complessa. A Longhi si sono riferiti esplicitamente nell’elaborazione delle loro opere allievi diretti e indiretti, che hanno determinato il cambiamento della cultura italiana nel dopoguerra: Alberto Arbasino, Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori, ma anche Paolo Poli. Il connubio con Anna Banti, scrittrice straordinaria di romanzi e racconti che dialogano continuamente con le opere del consorte, è stato un episodio centrale della cultura italiana del Novecento, riassunto nell’esperienza della rivista Paragone , di colore arancione per le ricerche d’arte e verde per le opere letterarie.
Il grande volume che esce è in primo luogo occasione per ritrovare insieme opere spesso pubblicate negli anni in collocazioni diverse, dopo le antiche edizioni d’epoca Sansoni, collocate in ordine cronologico d’autore, per rivedere lo sviluppo di un pensiero critico e di un universo espressivo. Lina Bolzoni cita un testo di Contini per cui con il suo classico Piero Della Francesca del 1927 si era: «classificato definitivamente scrittore», individuando un elemento principale dell’opera nella vocazione teatrale, quella per cui confidava agli amici: «il rimpianto per non essere diventato attore».
Da qui deriva la passione per una parola scritta che si alimenta in primo luogo della conversazione quotidiana, spesso tagliente, su temi d’arte e di cultura (rievocate magnificamente da Arbasino che raccontava di battute folgoranti anche su temi pop, come quando scivolando a Palazzo Reale a Milano, soccorso da allievi preoccupati, commentò canticchiando una canzone di Mina), nell’idea principale di riportare gli autori al loro tempo e ambiente, esaminato in ogni dettaglio, ricreando l’atmosfera di un’epoca, come nel caso del Piero che porta il lettore in un territorio tra Toscana e Umbria, presentato nei suoi valori culturali, ma anche pittorici e di ambiente.
Il percorso inizia con il testo di una conferenza tenuta al Lyceum di Firenze nel 1941, intorno a un tema che era scottante in quel momento, quando l’Asse Berlino-Roma-Tokyo prevedeva infinite discussioni sul tema delle relazioni Germania e il Belpaese. Arte italiana e arte tedesca afferma differenze e legami delle due culture, in un momento in cui le direttive di Göbbels volevano mettere comunque al primo posto l’eredità germanica. «Dal riso e dal pianto già altissimi di Bamberga, di Naumburg e di Magdeburgo, si giunge di fatto all’incomposto d’ogni orrore fisico, al compiacimento nel macabro, nella «Fratze», nella grinta, nei ceffi gratuiti. Noi, per esempio, non conosciamo in Italia il soggetto della “Pietà” che nell’aspetto della umana commiserazione, non già dello strazio orrendo, insoffribile, come si esprime nella scultura tedesca fin dal trecento». La riflessione rifiuta i termini razzisti allora in voga, concludendo con un rimando alla produzione del suo tempo, in riferimento a creatori a lui cari: «ma per un Carrà che ha saputo accordare a una norma profonda il suo iniziale impulso romantico, come un vecchio maestro lombardo; ma per un Morandi che sembra la regola monastica e pur liberamente cantata dell’eterno spirito formale italiano».
Seguono testi celeberrimi, come Giudizio sul Duecento , Giotto spazioso , magnifiche le osservazioni che connettono geografia e storia, come Una mostra a Verona (Altichiero, Stefano, Pisanello), la proverbiale Officina ferrarese , punto fondamentale su una scuola fino a quel momento negletta, e i memorabili affondi sul suo autore-feticcio, Caravaggio, con il testo celebre a lui dedicato e con i Quesiti caravaggeschi . Curioso è quel Dialogo fra il Caravaggio e il Tiepolo , pubblicato su Paragone Arte nel 1951, in cui i due artisti nell’aldilà commentano i propri destini di pittori e di uomini, confermando la «fulgurazione» teatrale, indicata da Lina Bolzoni. Il finale è dedicato a un discorso sui contemporanei, con testi dedicati ai Pittori futuristi, all’amato Morandi, al sorprendente Alberto Magnelli e ad artisti oggi poco frequentati, come Enrico Reycend e Mino Maccari, raccontati in primo luogo a partire da occasioni personali, nel disegno di una amicizia.
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