Droni al fronte
7 Settembre 2023L’Europa non torni alle vecchie regole abbiamo bisogno di sovranità condivisa
7 Settembre 2023L’analisi
Il peggioramento del Pil del secondo trimestre di quest’anno conferma che di fronte al Belpaese la strada resta inesorabilmente in salita. Come è noto la contrazione, che in fase di stima preliminare era di -0,3 per cento trimestre su trimestre, si è rivelata peggiore quando i dati definitivi dell’Istat hanno segnalato che la riduzione del Pil è stata dello 0,4 per cento. Siamo gli unici in Eurozona a fare così male in termini di crescita: la Germania afflitta dai suoi guai è comunque ferma sulla linea dello zero, la Francia cresce di mezzo punto e il club dell’euro fa +0,3 per cento. Stiamo tornando i Calimeri d’Europa? Siamo di nuovo candidati alla maglia nera?
Il rischio c’è ed è concreto. Soprattutto se ai freddi dati del Pil che, come sappiamo, non dicono tutto, associamo almeno tre elementi strutturali in grado di segnare le sorti di una economia in un periodo neppure tanto lungo. L’inverno demografico, per cui tra pochi anni nel 2030 avremo perso più di un milione di popolazione, è una delle realtà più drammatiche. A questo fenomeno si associa il problema che la forza lavoro presente non viene debitamente messa a lavorare: siamo gli ultimi in Europa, sotto Grecia e Romania, per tasso di occupazione pari al 64,8 per cento contro una media continentale del 74,6 per cento. Per finire anche la produttività, quella buona che misura la combinazione di innovazioni e processi organizzativi, la cosiddetta Tfp, è crollata
nello scorso decennio.
Dunque: pochi, pochi al lavoro (specialmente giovani e donne) e chi lavora è spesso collocato in un sistema poco innovativo e tecnologicamente non avanzato. Fatte le debite eccezioni, la situazione del nostro Paese è questa.
Ne scaturiscono tanti effetti negativi, basti citarne uno: la popolazione a rischio di povertà – e in tempi di alta inflazione la questione pesa in modo determinante sulla domanda – è in Italia, secondo Eurostat, pari al 21,6 per cento. Sta meglio l’Europa dove il dato è limitato al 21,6 per cento, stanno naturalmente meglio Francia e Germania.
L’opinione pubblica comincia a percepire che qualcosa non va. Basta leggere l’ultimo “radar” della Swg: la crescita dell’indice di fiducia nel futuro si è drasticamente ridotta già da prima di Ferragosto ed emergono segnali di sfiducia, secondo i sondaggi, sul piano politico istituzionale.
Per uscire dalle sabbie mobili nelle quali rischiamo di restare impantanati bisogna avere il coraggio di fare una operazione verità sullo stato del Paese.
La stima di “consenso” sulla crescita del Pil del prossimo anno prevede una crescita dello 0,7 per cento: il governo nella redazione della imminente Nadef non potrà trascurare questa proiezione che è la metà di quanto è stato previsto dall’esecutivo nel Def dell’aprile scorso.
Con la conseguenza evidente che il gettito fiscale diminuirà e il deficit tendenziale si appaierà al programmatico eliminando i margini di intervento. La strada a questo punto sarà solo più deficit ma bisognerà fare i conti con il “vecchio” o il “nuovo” o con l’assetto transitorio del Patto di Stabilità e non illudersi che sarà una strada facile.
Ha fatto bene il ministro dell’Economia Giorgetti a manifestare prudenza e ad avvertire sulla scarsa crescita per il prossimo anno. Suona meno bene lo scaricabarile sulle misure di marca grillina come il Superbonus e il Reddito di cittadinanza: sebbene il governo abbia già agitato la mannaia bisogna riconoscere che il Reddito ha salvato molta gente dalla povertà e il Superbonus ha dato una notevole spinta all’economia. Però un colpevole può essere individuato e lì bisogna agire per emendarsi: i ritardi sul Pnrr, gli investimenti e le riforme che mancano alla crescita italiana e che se innestati quest’anno avrebbero potuto rappresentare una via d’uscita dalla stagnazione.