Arriva il Def. Crescita appesa al Pnrr e al costo dell’energia
14 Aprile 2023Il falò delle false promesse
14 Aprile 2023
di Massimo Franco
L’implosione del sodalizio tra Carlo Calenda e Matteo Renzi contribuisce all’immagine di opposizioni in frantumi. Sia quella larvatamente dialogante del loro Terzo polo, sia quella estremista del nuovo Pd e del M5S stanno mostrando un’inadeguatezza che alla fine non fa bene a nessuno. Nella prospettiva immediata, la frammentazione favorisce e rafforza il governo di Giorgia Meloni. Ma l’assenza di una minoranza in grado di criticare e contrastare in modo credibile la coalizione di destra nel merito delle decisioni è destinata a pesare in maniera ambigua.
Promette di condizionare lo stesso governo: nel senso di dargli un’illusione di onnipotenza, sempre rischiosa. Lo espone alle proprie contraddizioni e soprattutto alla tentazione di sottovalutarle, forte dei numeri parlamentari e della debolezza avversaria. Così, di fronte alla realizzazione di un Piano per la ripresa che deve fare i conti con ostacoli e ritardi crescenti, la coalizione si trova a combattere con se stessa. E l’effetto, in particolare per i suoi riflessi internazionali, non è dei migliori.
La mediazione sulle nomine nelle aziende pubbliche ha placato lo scontro tra la premier e gli alleati Matteo Salvini, leader della Lega, e i berlusconiani. I distinguo sono tuttavia destinati a riemergere. Sia su riforme istituzionali come l’autonomia regionale, sia sul presidenzialismo, esiste un patto di scambio più che un’intesa convinta. Giorgia Meloni accetta di appoggiare il progetto leghista di un’autonomia differenziata, voluta dalle regioni del Nord. Ma nutre forti dubbi, anche per il timore di perdere voti al Centro e al Sud: lo stesso di Forza Italia.
Quanto a Salvini, sostiene il progetto presidenzialista a patto che passi la riforma promossa dal suo ministro Roberto Calderoli. Il problema più immediato, tuttavia, è il Piano per la ripresa; e in parallelo sono i rapporti con Ue e Nato per l’aggressione russa all’Ucraina. Su questo, le distanze rimangono, al di là degli atti formali. Quando un leghista come Claudio Borghi attacca gli aiuti ricevuti dall’Europa, l’eco è imbarazzante. «Una volta fatta la frittata, bisogna cercare di metterla nel piatto nel modo migliore possibile»: dove la «frittata» sarebbero i soldi ricevuti dall’Ue.
Non aiutano Salvini i riconoscimenti e l’abbraccio di Marine Le Pen, la leader della destra francese. Le Pen attacca la Nato e l’atlantismo di Giorgia Meloni, alla quale dice di preferire il capo della Lega, a lei più affine. E sullo sfondo rimane la «variabile Berlusconi». La rottura in incubazione da mesi, a sentire Calenda, tra lui e Renzi, appare dunque un fatto secondario. La maggioranza non può che avvantaggiarsene. In prospettiva, però, è l’ennesima conferma di un sistema in via di assestamento.