E’andato in onda il trailer del governo dei patrioti
5 Settembre 2022L’economista oggi
5 Settembre 2022Dal Manifesto ad Atreju, le sue intuizioni lo hanno sempre condotto un po’ qua e un po’ là. Euroscettico, antimercatista, nemico della globalizzazione. E’ l’anti Draghi dalle nove vite. Come sarà la prossima al fianco di Giorgia Meloni? Ritratto di un quattro volte ministro dell’Economia
A Lorenzago di Cadore abbondano i Tremonti: sono stati sindaci, professionisti, mercanti, l’albergo principale si chiama Hotel Tremonti. E poi c’è lui, Giulio Carlo Danilo, erede della famiglia che possedeva boschi e vendeva il legname alla Serenissima affinché fosse la regina dei mari, intellettuale inquieto e politico multiforme, consapevole della propria intelligenza che spesso gli ha procurato tensioni anche con gli amici. Già liberal-radicale irriverente, tributarista di successo, saggista brillante e instancabile, si potrebbe dire che durante la sua lunga carriera si è spostato sempre più, dal Manifesto ad Atreju it’s a long, long way; tuttavia è impossibile rappresentarlo in equilibrio su una linea retta. Le sue intuizioni lo hanno sempre condotto un po’ di qua e un po’ di là. Le critiche all’Unione europea nascono a sinistra e finiscono a destra. Come si fa a salvare il welfare state se lo stato nazionale viene soppiantato da un super-stato sovranazionale, e come proteggere l’occupazione quando i capitali si rifugiano in Germania, per non parlare del Lussemburgo? Con la globalizzazione, poi, la lotta di classe su scala mondiale penalizza gli operai italiani di fronte alla concorrenza sleale di quelli cinesi. Così, dopo la “rivoluzione comunista” e la “controrivoluzione liberista”, arriva la “restaurazione sovranista”. Tremonti ama le contraddizioni. Euroscettico d’antan, propone con dieci anni d’anticipo gli eurobond che servono non a uscire dall’unione monetaria, ma a rafforzarla. Antimercatista, trasforma la Cassa depositi e prestiti in società per azioni al fine di rispettare i parametri di Maastricht. Nemico giurato della turbofinanza, diventa il ministro della “finanza creativa”. Avversario dell’austerità in salsa germanica, taglia la spesa pubblica corrente. E ancora, l’ipercritico della globalizzazione, alla quale preferisce la coppia francese mondo-nazione, resta nel bozzolo dei globalisti americani. Viene travolto dalla crisi del debito sovrano, eppure l’aveva vista arrivare, a differenza di Silvio Berlusconi. Giorgia Meloni, alla ricerca di cervelli fini, gli offre per ora un seggio alla Camera, ma può bastare? Palazzo Sella sarebbe un eterno ritorno, c’è già stato quattro volte; potrebbe andare alla Farnesina, sognando magari palazzo Chigi. Se Salvini s’impuntasse, se il risultato delle urne non fosse così chiaro come mostrano i sondaggi, si aprirebbero spazi che oggi sembrano poco probabili, anche se contro Tremonti resta il veto di Berlusconi. Secondo alcuni in realtà vuol fare la riserva della Repubblica, la sinistra ne è piena, la destra no. Ecco perché più che la carica conta oggi l’agenda Tremonti. Il dubbio è se si sposa davvero con l’agenda Meloni. Fino a che punto Giorgia che chiede consigli a Mario Draghi è disposta a sostenere Giulio da sempre l’anti Draghi? Per cercare una risposta che guardi al prossimo futuro dobbiamo fare qualche passo indietro; più che registrare i roboanti proclami elettorali, scartabelliamo dunque le voluminose agende delle esperienze passate.
1 – Il lib lab
Le origini e l’infanzia sono a Lorenzago con il rito del campanotto natalizio e la casa, Villa Angiola, all’ingresso del borgo. Tra i boschi in un angolo oggi venerato passava le vacanze estive Giovanni Paolo II. Ma Giulio Tremonti nasce a Sondrio il 18 agosto 1947 da padre farmacista cadorino e madre originaria di Benevento, studia a Pavia dove poi insegna, entra nelle grazie di Franco Reviglio, conte della Veneria e socialista, che sarà ministro delle Finanze nel governo Cossiga (1979-1981). Con lui c’è un trust di giovani cervelli come Domenico Siniscalco, Franco Bernabè, Alberto Meomartini, Mario Baldassarri, conosciuti come i Reviglio boys. I ruggenti anni Ottanta lo hanno segnato. Consigliere di Rino Formica, amico di Gianni De Michelis, insomma una frequentazione socialista consolidata. Ma non si iscrive al partito, anzi, quando comincia il suo percorso politico aderisce al Patto Segni e si batte per un sistema elettorale maggioritario. Scrive sui giornali, anche sul Manifesto allora diretto da Valentino Parlato. Al Corriere della Sera viene chiamato da Piero Ostellino nel 1984, intanto pubblica i primi saggi brillanti, ma più concreti dei successivi, mettendo a punto la sua politica fiscale: dalle persone alle cose, meno Irpef più Iva. Il contrario di quel che pensa la Lega protettrice delle partite Iva. Molta acqua, però, è corsa sotto i ponti.
2 – Il referendario
Crolla la lira, crolla la Prima Repubblica, nasce la voglia di cambiamento del sistema politico e Mariotto Segni, già parlamentare democristiano, figlio dell’ex presidente della Repubblica Antonio, fonda un movimento referendario per passare all’uninominale.