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13 Dicembre 2023Patti Smith – Gloria
13 Dicembre 2023L’organizzazione del Concerto di Patti Smith fa capire di Siena più cose di quante si vorrebbero rappresentare
COME ASSISTERE A UN FUNERALE CHE CELEBRA LA VITA. PATTI SMITH LIVE A MODENA.
di Fabrizio De Palma
Aggiunta in extremis a una mini-turnè italiana legata alla pubblicazione del suo nuovo memoir fotografico, A Book Of Days, la tappa modenese di Patti Smith è stata una delle sorprese più suggestive, anche e soprattutto per l’eccezionalità della location in cui ha avuto luogo l’evento. Grazie al patrocinio del comune di Modena, infatti, si è resa possibile l’occasione più unica che rara di assistere all’esibizione acustica della madrina del punk all’interno del Duomo della città.
Del resto era proprio all’interno di una chiesa – la Saint Mark Church di New York – che il 10 febbraio del 1971 Patti Smith aveva tenuto il suo primo concerto in assoluto: in realtà un reading di poesie, accompagnato dalla chitarra di Lenny Kaye, che in seguito la convincerà a mettere su il Patti Smith Group insieme al pianista Richard Sohl. Lei che voleva soltanto fare la poetessa perché “non sapeva cantare” e che supererà le paure seguendo il consiglio di Sam Shepard – “se perdi un ritmo, inventane un altro”. Lei che si farà le ossa sul palco dello storico CBGB insieme ad altri eroi maledetti del punk – dai Ramones ai Television di Tom Verlaine (a cui dedicherà un toccante omaggio durante la serata con la cover di Guiding Light).
Oggi, a 76 anni, Patti Smith non può certo avere lo stesso impeto di quando, poco più che ventenne, assaltava cieli di apocalissi e anarchia in sella ai cavalli di Horses (nessun brano verrà eseguito dal suo esordio capolavoro): ormai ha vissuto molte vite e purtroppo anche molte morti (l’amico-amante fotografo Robert Mapplethorpe, il fratello Tod, il compagno di band Richard Sohl e soprattutto il marito Fred “Sonic” Smith, chitarrista degli MC5 e dei Sonic’s Rendezvous Band), ma negli occhi ha ancora la stessa scintilla di un tempo.
Ad accenderla sul palco insieme a lei sta volta ci sono soltanto il figlio Jackson, alla chitarra, e il grande musicista Tony Shanahan a fare la spola tra basso e tastiere. Il set acustico imbastito dai tre è una sorta di versione natalizia e pacificata della furia iconoclasta di un tempo. Patti Smith si dimostra molto rispettosa del tempio in cui si trova, anche perché dietro c’è una buona causa, con parte dell’incasso devoluto in beneficienza a un orfanotrofio di Betlemme.
Non userà, quindi, i suoi versi più iconici – “Gesù è morto per i peccati di qualcuno, non per i miei” – che un giorno saranno scolpiti sulla lapide del rock.
E nemmeno brandirà la chitarra come un’arma affilata – come diceva agli esordi: “La chitarra che suono è uno strumento di battaglia e il rock mi piace per questo; perché dà a chiunque la possibilità di essere un soldato senza imbracciare un mitra. È un sentimento che nutro nel profondo di me, non posso farci nulla, siamo nati da tempi violenti, dobbiamo essere soldati. La mia metà Apache si sveglia ogni mattina con voglia di scalpi; e allora la chitarra che suono sarà il mio tomahawk “(ndr. non la bistecca, ma l’ascia da battaglia dei Nativi americani).
Oggi Patti Smith sembra aver sepolto da tempo l’ascia di guerra, barattandola con la saggezza di una vecchia sciamana che predica la pace universale.
Se deve tornare alle sue origini indigene lo fa attraverso la danza dei fantasmi, rievocata in una nuova veste per celebrare l’unione tra i popoli, come in Ghost Dance – Noi vivremo ancora, scuotete la danza fantasma / Pace a tuo fratello, prendi e dai pace – secondo pezzo in scaletta, in cui rivive anche il fantasma di Jim Morrison, dopo l’apertura sommessa di Grateful, che da canzone scritta per celebrare la dipartita di Jerry Garcia dei Grateful Dead si trasforma in un ringraziamento a tutti i “fedeli” accorsi in chiesa.
E se deve fare un intermezzo natalizio, perché il periodo lo impone, lo fa con Happy Happy Xmas (War Is Over) di John Lennon affidata alla voce di Shanahan, che l’accompagna anche nel traditional Oh Holy Night. Non tutti si saranno accorti però che entrambe erano state propiziate da un omaggio strumentale alla canzone di Natale più “sentita” di questi giorni: Fairytale of Newyork, in memoria di Shane MacGowan, il poeta punk più importante d’Irlanda, i cui funerali si sono celebrati proprio venerdì scorso. L’intro suonata di schiena da una Patti Smith visibilmente commossa è stata incastonata nella coda strumentale di Beneath The Southern Cross, un brano che la stessa Smith ha introdotto, descrivendolo come “una canzone che celebra la vita, ma anche tutti quelli che abbiamo perso”. Ed è questo forse il segreto più profondo della musica di Patti Smith: essere intrisa al tempo stesso di morte e di vita.
I brani più famosi con cui chiude il concerto sono lì a ricordarcelo ad imperitura memoria.
Because The Night, donatale da Springsteen, è intrinsecamente legata al ricordo del marito morto nel 1994, perché era sua la telefonata che stava aspettando mentre (ri)scriveva i versi del brano – Have I doubt when I’m alone / Love is a ring, the telephone – facendolo proprio per sempre, e nel contempo di tutti gli amanti del mondo, una celebrazione dell’amore degna di Prevert, “I ragazzi che si amano si baciano in piedi contro le porte della notte”, “I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno” o “They can’t touch you now, Can’t touch you now, can’t touch you now… Because the night belongs to lovers”.
Anche People Have The Power porta in sé le stigmate di Fred Smith. Era stato lui a dirle un giorno, mentre stava pelando le patate: “Trisha” – il diminutivo di Patricia che solo lui usava in luogo di “Patti”- “People have the power, scrivilo!”. Lei non solo l’ha scritto, ma l’ha anche cantato per anni, trasformandolo in un inno immortale per le generazioni passate, presenti e future. Del resto questo l’aveva capito lei stessa fin da subito: “Non sentivo di essere quella giusta. Non mi consideravo in alcun modo una musicista, ma ero una poetessa e una performer, e sentivo di capire a che punto eravamo, cosa ci era stato dato e dove dovevamo andare, e se fossi riuscita a dargli voce, forse avrei potuto ispirare la prossima generazione”.
La conclusione del concerto riesce nel miracolo di essere al tempo stesso concreta (le persone hanno davvero il potere di cambiare le cose) e spirituale: un verso come I was dreaming in my dreaming /God knows /a purer view può essere interpretato sia come qualcosa di sacro “Io sognavo nei miei sogni / Dio conosce una visione più pura”, sia come qualcosa di più terreno “Io sognavo nei miei sogni / Sognavo dio sa cosa / uno sguardo più puro”. L’ambivalenza è una questione fondamentale nella sua musica e nella sua arte in generale.
Nel suo primo libro di fotografie M Train, Patti Smith scrive spesso dei suoi sogni. Il libro si apre e si chiude con un paesaggio onirico desertico, in cui un mandriano le parla per enigmi. Difficile dire cosa rappresenti, la stessa Smith sembra non saperlo. Ma verso la fine concepisce la cosa più simile ad un suo “credo”: “La vita è al fondo delle cose e la fede in cima, mentre l’impulso creativo, che risiede al centro, informa tutto”. Questa è la sua teologia e l’ha seguita con devozione travalicando le religioni, i sogni, la vita e la morte.
Patti Smith è una persona per la quale il mondo materiale nasconde, in modo sottile, una serie di verità più durature e luminose. Sono le verità dell’arte, del genio, del destino. E sono queste verità che ci vuole mostrare con le sue fotografie: con la sedia di Bolaño, la scrivania di Borges, il letto e le stampelle di Frida Khalo, il bastone da passeggio di Virginia Woolf ecc.
Ognuna di queste foto è “una porta aperta a chi crede”.
Sempre in M Train ad un certo punto Patti Smith parla di un “pozzo” che l’ha ossessionata per molto tempo. Non è un luogo reale. È il pozzo di una tenuta immaginaria descritta da Murakami nel capitolo iniziale del romanzo L’uccello che girava le viti del mondo. Dentro quel pozzo il narratore scoprirà l’ingresso di un mondo parallelo. Quando andando avanti nella lettura scoprì che quel pozzo sarebbe stato coperto, non volle accettarlo. Era troppo sacro per chiuderlo solo perché era stato deciso da una singola frase in un libro. “La verità è che il pozzo sembrava talmente affascinante che volevo averlo io” dice Patti Smith, che comincia a cercare degli indizi per rintracciare questo famoso “pozzo-portale” in Giappone.
Finché alla fine è lo stesso Murakami a fornirle una soluzione: «il narratore de L’Uccello che girava le viti del mondo era riuscito a passare dal pozzo all’atrio di un albergo imprecisato visualizzando se stesso che nuotava, come nei suoi momenti più felici. Come Peter Pan quando insegna a volare a Wendy e ai suoi fratelli: “Pensate a qualcosa di molto bello”».
Così – racconta ancora Smith – «Ho perlustrato le nicchie delle gioie passate, fermandomi a un momento di esaltazione segreta. Ci sarebbe voluto del tempo, ma sapevo come fare. Per prima cosa avrei chiuso gli occhi e mi sarei concentrata sulle mani di una bambina di dieci anni che giocherellano con una chiavetta per pattini a rotelle appesa all’adorata stringa della scarpa di un bambino di dodici anni. “Pensa a qualcosa di molto bello.” Avrei semplicemente attraversato il portale pattinando».
In un certo senso tutti coloro che ieri sera hanno varcato le porte della Chiesa per assistere al concerto di Patti Smith hanno attraversato un portale simile, prima in ingresso e poi in uscita: come andare a un funerale che celebra la vita. Tornarci è molto semplice, basta pensare a qualcosa di molto bello.