Due interrogativi paralleli increspano le acque della politica. Acque in apparenza tranquille per quanto riguarda la relativa stabilità della maggioranza, nonostante un certo logorio indotto dalla campagna elettorale permanente in cui è impegnato Salvini. Acque un po’ meno calme a sinistra, dove però Elly Schlein copre le difficoltà con il ricorso alle manifestazioni di piazza, comprese quelle organizzate dalla Cgil dell’alleato Landini.
Servono a mantenere una tensione e a mobilitare un elettorato bisognoso di parole d’ordine e soprattutto di una prospettiva politica.
Su questo sfondo, due personaggi di primo piano hanno preso la parola per movimentare il dibattito pubblico con messaggi strettamente politici. Non c’è relazione — salvo la coincidenza temporale — fra il doppio intervento di Guido Crosetto, ministro della Difesa in carica, e Dario Franceschini, figura di peso del Pd oggi oscurata, al pari di molte altre, dal dinamismo spiazzante della segretaria. Ma è come se entrambi avessero colto la necessità di esporsi adesso, quando c’è da preparare non tanto le elezioni europee, quanto il “dopo”. Quel dopo che sarà decisivo per le sorti della legislatura, nel senso che determinerà il successo o il fallimento sia del centrodestra al governo sia del centrosinistra all’opposizione.
Crosetto, come sappiamo, ha usato parole forti per attaccare una parte della magistratura. L’ha accusata né più né meno di covare pensieri eversivi intorno all’esecutivo Meloni, a causa di una supposta “deriva anti-democratica”. In seguito il ministro ha annacquato le sue frasi incendiarie: tipica operazione per cui si accende un bengala, si osserva l’effetto che produce e poi si fa un mezzo passo indietro, così da non esagerare. Ma ora, come è ovvio, è più che opportuna la sua testimonianza in una sede parlamentare (l’ipotesi è la Commissione Antimafia), in modo da stabilire cosa è vero e cosa è frutto di fantasia.
Il ministro è uno dei personaggi più in vista del governo e non è credibile che abbia preso una simile iniziativa all’insaputa della premier. Si è detto che si tratta di una “difesa preventiva” di fronte a future inchieste giudiziarie volte a destabilizzare la compagine di centrodestra. Ma l’intreccio di messaggi minacciosi è l’ultima cosa di cui ha bisogno un’opinione pubblica che già nutre scarsa stima verso la magistratura e preferisce non assistere alla recrudescenza della “guerra dei trent’anni”. Forse gli italiani hanno intuito che l’esito delle polemiche consisterà nel rendere più arduo il percorso parlamentare della riforma Nordio, peraltro rinviata dalla Meloni a dopo le europee, quando il quadro sarà più chiaro. Se lo sarà. Renzi lo ha notato subito e stavolta non gli si può dare torto.
Quanto a Franceschini, si ricorderà che era stato il principale Grande Elettore della Schlein, ma deve essere rimasto deluso dalla sua scelta. Ora lo preoccupa il “muro contro muro” sulle riforme istituzionali, quella chiusura totale a ogni trattativa che finirà per schiacciare il Pd sui Cinque Stelle di Conte. Così si sta creando un movimento a sinistra che chiede al Pd di proporre con foga il modello tedesco del “cancellierato” (a Orvieto si è svolto in tal senso un convegno dei “riformisti” del Pd, convocati da Stefano Ceccanti e molti altri). Franceschini si muove da politico e non da professore, ma è evidente la volontà di interloquire col centrodestra. Non certo perché l’ex ministro della Cultura sia stato conquistato dall’elezione diretta del premier. Al contrario, la sua intenzione è aprire un tavolo di dialogo per rimettere al centro la proposta del Pd. Si chiama politica, il contrario dell’intransigenza pregiudiziale.