Proprio in questi giorni, tra un articolo e un altro dedicato alla presenza dei cattolici in politica, mi sono capitate sottomano alcune pagine in cui Franco Rodano sosteneva che per discutere davvero di tale questione bisogna affrontare il rapporto tra storia e grazia. Ecco, forse non è necessario tornare a quel livello di analisi ma non è difficile misurare la distanza che si è prodotta in mezzo secolo tra le nostre discussioni politiche. Non riusciamo a trovare una via di mezzo tra un dibattito che abbia come oggetto categorie così alte come storia e grazia e un dibattito che riduca la contesa a termini del tutto autoreferenziali come “centro” e “moderatismo”.

Uno spazio autoreferenziale

Occupiamoci innanzitutto dell’ossessione per il centro. Il mio timore è che, a forza di costruirlo e ricostruirlo, ci accorgeremo che il centro è ormai uno spazio tanto politicamente saturo quanto socialmente vuoto: occupato dai politici ma abbandonato dalla società. Ha senso discutere di uno spazio politico del tutto autoreferenziale? Senza occuparsi cioè del suo legame con i gruppi sociali che dovrebbe esser in grado di accogliere? Come se il centro-sinistra si fosse assuefatto a una singolare inversione dell’ordine delle cose politiche: ci occupiamo di uno spazio politico disinteressandoci dei gruppi sociali che quello spazio lo dovrebbero occupare.

Ora, la mia impressione è che quest’inversione non sia neutrale ma faccia il gioco della destra. Lo spiegava magistralmente Carlo Trigilia su queste pagine: la destra ha tutto l’interesse a spostare la rappresentanza dagli interessi all’identità. Un dibattito identitario finisce per coinvolgere esclusivamente le élite e risulta del tutto inutile rispetto all’unico modo che abbiamo per vincere le elezioni: non far presidiare il centro da gruppi dirigenti che già ci sono, ma persuadere quei gruppi sociali che ingrossano l’astensionismo e che non ragionano in termini identitari ma in termini di interessi socio-economici.

Una cultura politica

Il rischio che andrebbe evitato nella meritoria discussione sul ruolo politico dei cattolici è proprio questo e la mia precedente evocazione di Franco Rodano va in questa direzione. I cattolici devono portare una cultura politica, non possono ridursi soltanto ad avere un’identità politica. Che differenza c’è tra cultura e identità? Che la seconda s’irrigidisce, pretende per sé, quanto l’altra si offre, è persuasa di poter espandersi e valere anche per altri.

Da sempre il cristiano adulto non è colui che afferma sé stesso, ma che si mette al servizio della società. Mentre la fissazione identitaria è autoreferenziale, una cultura politica non si occupa solo di sé e fa riferimento anche a dei gruppi sociali. Il problema politico dei cattolici oggi è molto semplice: che posto occupano ormai nella cultura e nella società di questo paese? La risposta onesta non sarebbe ovviamente consolatoria, eppure bisognerebbe prenderla sul serio. Discutere di questo, prima di ogni cosa. Invece esorcizzare questa crisi sociale e culturale vuol dire agitare ancora il fantasma identitario.

All’ossessione centrista si accompagna il rimando al moderatismo come virtù politica per eccellenza. Ma non è affatto vero che il cattolicesimo sia per definizione moderato – specie in un tempo così anti-evangelico – e, soprattutto, il rischio è quello di sostituire col moderatismo l’urgenza della mediazione, l’unica arte davvero necessaria nelle democrazie rappresentative.

Sostenere che il risultato delle mediazioni politiche sia necessariamente moderato sarebbe come dire che la nostra Costituzione è di centro. Ovviamente non è vero: essa è l’esempio più cristallino del fatto che la mediazione politica – quando non è solo una trattativa autoreferenziale tra élite identitarie ma è un lavoro di inculturazione politica che attraversa i conflitti senza censurarli – non produce per forza effetti moderati ma è capace di produrre politiche radicali. Le uniche in grado di controbattere alla profondità delle trasformazioni che questo governo lascerà in eredità.

Bisogna dare atto a Elly Schlein che, rispetto ai narcisismi dei maschi alfa che l’hanno preceduta, sta dimostrando di avere ben presente questa distinzione tra moderatismo e mediazione e di star lavorando per innescare dei processi di mediazione che portino a risultati all’altezza delle sfide che la destra propone. Ecco, non vorrei che dietro questa discussione vi sia una forma di ostilità rispetto a questa sua sacrosanta capacità di cercare mediazioni senza per forza evocare il moderatismo.